Genova ha cambiato la vita di molti anche se a Carlo Giuliani l’ha tolta. «La repressione ha colpito al cuore la protesta, anche i gruppi più notoriamente pacifisti». Bisognava costruire uno “choc di cittadinanza”, con la violenza, i divieti e la narrazione mediatica per traumatizzare una cittadinanza trasversale alle generazioni e alle appartenenze», osserva Maria Luisa Menegatto, psicologa sociale e autrice con Adriano Zamperini di Cittadinanza ferita e trauma psicopolitico (Liguori).
Un altro mondo è possibile, si usava dire. L’Italia fu uno degli epicentri di quella stagione, ben oltre le giornate del luglio 2001 quando nei «luoghi dell’incomprensione, del dialogo impossibile tra gente e sfollagente, canti e mercanti, visi e divise» centinaia di migliaia di attivisti contestavano i vertici della globalizzazione liberista (Stefano Tassinari, I segni sulla pelle, Tropea 2003).
«Nei sondaggi tra il 2000 e il 2005 si chiedeva: pensate che il movimento abbia buone ragioni? Bene, il 60-70% era d’accordo», ricorda a Left, Donatella Della Porta, studiosa dei movimenti sociali, docente alla Scuola normale superiore di Firenze. Durò fino alla crisi, globale anche quella.
«A quel tempo frequentavo anche i Ds – dice Raffaella Bolini, già responsabile internazionale dell’Arci – e davvero credevano che la globalizzazione ci avrebbe reso molto ricchi, che avremmo venduto macchine alla Cina. La precarietà la chiamavano flessibilità».
A seguire le piste segnate da quel soggetto multiforme si può scoprire che…
Dai social forum ai social media
Che fine ha fatto il “movimento dei movimenti”? Nei sondaggi tra il 2000 e il 2005 il 60-70% degli italiani pensava che le ragioni degli altermondialisti contro la globalizzazione neoliberista fossero fondate. Durò fino alla crisi del 2008, anche questa globale. Ma l’attivismo non si è fermato, ha cambiato forma