Il 4 ottobre 2018 una nave italiana (la Mare Jonio) ha deciso di impegnarsi nell’operazione Mediterranea per andare là dove le Ong sono state cacciate, in quel pezzo di mare in cui fa comodo ai lupi che le persone muoiano (ma in silenzio) o che vengano riportate nell’inferno libico senza che si sappia troppo in giro. Una nave con finanziatori chiari e modalità trasparenti: liberi cittadini decidono di offrire miglia nautiche direttamente dal sito, i giornalisti a bordo raccontano le giornate, l’equipaggio poche ore fa ha contribuito al salvataggio di settanta persone. Come disse benissimo Sandro Veronesi è il tempo di metterci i corpi. Fisicamente esserci, mollare gli ormeggi e andare al largo, tra le macerie di un tempo che miete vittime solo tra i disperati, i deboli, i meno difesi.
Metterci i corpi nel Mediterraneo ma metterci i corpi anche a Lodi, dove tra l’altro hanno dovuto chiedere di bloccare le troppe donazioni che hanno già pagato l’uguaglianza in mensa tra bambini italiani e stranieri.
Metterci i corpi a Riace dove Salvini ha bisogno di fare il prima possibile un deserto chiamandolo giustizia come fanno gli incapaci quando non hanno altro modo di distruggere l’esistente per fingere di avere un progetto.
Metterci i corpi nei quotidiani casi di razzismo (ieri a Bari un bambino nero è stato aggredito con schiuma spray all’urlo “ora ti facciamo diventare bianco”).
Metterci i corpi nella sciagurata idea di un Decreto sicurezza che vorrebbe imporre orari di chiusura ai negozi in base all’etnia.
E, nel piccolo, metterci i corpi nelle decine di voci che ci capita di ascoltare, vomitevoli e illegali (sì illegali) che ci capita di incrociare.
Metterci i corpi consapevoli che non possiamo scostarci, non possiamo evadere dal presente. L’indifferenza è una colpa. Il silenzio è omertà.
Andare al largo, tra le macerie, significa prendersi cura di questa epoca. Lì c’è la gente da cui ripartire per ricostruire. È un congresso naturale.
Buon lunedì.