Le elezioni di Midterm sono solitamente il “brutto anatroccolo” del panorama elettorale americano: poca affluenza e candidati sottotono. Questa edizione del 2018, invece, è stata rivoluzionaria in molti sensi. Il primo esempio è sicuramente la grande partecipazione registrata, evidenziata da un sondaggio del New York Times che ha stimato un’affluenza alle urne di circa 114 milioni di statunitensi, 31 milioni in più rispetto al 2014.
Di certo, i cambiamenti non sono mancati in questi quattro anni: passare dall’era Obama all’era Trump ha rappresentato un salto nel vuoto per molti elettori, facendoli sentire non rappresentati da un presidente così estremamente diverso dal suo predecessore. Senza dubbio, questo Midterm ha rappresentato una votazione sulla Casa Bianca, spingendo molto spesso a votare “a favore” o “contro” la politica trumpista. I risultati ottenuti sono la risposta a due anni di retorica divisiva che ha spinto parte degli elettori ad andare alle urne per cercare di fermare l’avanzata dei propri avversari, anziché rivendicare un proprio ideale. Un caso lampante è stato quello della Georgia, dove l’avanzata di Stacey Abrams è stata ostacolata con tutti i mezzi possibili dal suo avversario, Brian Kemp. Dopo “l’October Surprise” del New York Times, che l’aveva accusata di aver bruciato una bandiera del suo Stato quando era ancora all’università, Kemp ha accusato Abrams e il Partito democratico di brogli nella composizione dei registri elettorali, utilizzando tutto il suo potere di uscente Segretario di Stato della Georgia (senza preoccuparsi minimamente di nascondere l’evidente conflitto di interessi). Episodi di malfunzionamento del meccanismo di voto si sono poi registrati a partire dalla mattina del 6 novembre, scoraggiando molti elettori a restare in fila delle ore per esprimere la propria preferenza. Per poco più di due punti percentuali Abrams non è riuscita a diventare la prima donna afroamericana governatore della Georgia, ma in uno Stato così conservatore aver vinto in alcune delle contee più popolose deve essere letto come un successo.
Nonostante l’elettorato americano appaia arrabbiato e diviso, queste elezioni di Midterm hanno dimostrato quanto ancora creda nel potere del voto come strumento per far sentire la propria voce. Secondo il Washington Post, ben il 44% degli intervistati si è detto speranzoso in merito al risultato della votazione di metà mandato. Non a caso, nel 2018 si è registrato un altissimo tasso di voto anticipato (possibile in 37 Stati), strumento utilissimo per evitare episodi come quelli avvenuti in Georgia che scoraggino gli elettori a partecipare al voto, un’eventualità che storicamente ha sempre favorito i Repubblicani. Tanti “first time voters” si sono distinti nella massa, giovani che si sono recati per la prima volta alle urne per far valere la propria posizione.
D’altronde, questo Midterm è stato caratterizzato da una serie di “prime volte”: oltre che per il numero record di donne al Congresso (più di 100), quelle del 2018 sono state le elezioni più inclusive della storia statunitense, portando nelle stanze governative rappresentanti di diverse religioni ed etnie, oltre che la prima rifugiata musulmana, Ilhan Omar, la quale sarà anche la prima donna con l’hijab a sedere tra i banchi della Camera. Questi “americani col trattino” hanno battuto il cosiddetto “effetto gerrymandering”, un sistema intricato per cui i governatori dei vari Stati disegnano i collegi elettorali in modo da favorire un candidato (molto spesso un maschio bianco) piuttosto che un altro. Ayanna Pressley, afroamericana che ha vinto il seggio per il settimo distretto del Massachusetts, in un comizio ha dichiarato che «Nessuno di noi si è candidato per fare la storia. Ci siamo candidati per portare un cambiamento». Una missione certamente riuscita, riportando la Camera a una maggioranza democratica dopo 8 anni di supremazia dei Repubblicani. Nonostante sia successo quasi sempre, nella storia delle elezioni di Midterm, che il partito del presidente perdesse la supremazia in una parte del Congresso, questa volta la vittoria dei Dem ha un significato particolare, un’energia nuova e per la prima volta di sinistra rappresentata dall’icona di questo metà mandato, Alexandria Ocasio-Cortez, vincitrice nel suo collegio a New York con oltre il 75% delle preferenze e più giovane deputata della storia statunitense.
Il governo Trump è ora in una posizione difficile, avendo la maggioranza solo in una delle due Camere per i prossimi due anni del suo mandato. Un panorama che si presenta poco roseo per le riforme estreme che il presidente ha promesso di portare avanti durante la sua permanenza alla Casa Bianca. Intanto, alcuni dei candidati sconfitti più in vista come Beto O’Rourke, battuto di misura da Ted Cruz nelle elezioni per il Senato in Texas, stanno già pensando alle elezioni del 2020. Una linea ribadita da Ocasio-Cortez, che nel suo discorso di ringraziamento ha dichiarato: «Oggi rappresenta una pietra miliare, ma è soprattutto un inizio. Dobbiamo continuare ad organizzarci, non ci possiamo fermare». E l’onda blu, seppur con una vittoria a metà, non sembra proprio destinata a scomparire.