Mentre la polizia francese sta cercando di capire se a svaligiare Dior per mezzo milione di gioielli agli Champs-Elysees, sabato scorso, siano stati i manifestanti o dei ladri infiltrati, il ministro francese dell’Ambiente, Francois de Rugy, ha incontrato alcuni degli otto “messaggeri” dei gilet gialli su richiesta, pare, dello stesso Macron. Ma erano stati proprio gli otto “messaggeri” del movimento (Eric Drouet, Maxime Nicolle, Mathieu Blavier, Jason Herbert, Thomas Miralles, Marine Charrette-Labadie, Julien Terrier, Priscilla Ludosky), dopo una consultazione su Facebook, a richiedere un incontro in «tempi ragionevoli» all’Eliseo e al primo ministro Edouard Philippe, annunciando l’intenzione di proseguire con i blocchi stradali «fino al raggiungimento di una soluzione concreta». I gilet gialli reclamano un ritocco al ribasso delle tasse e la costituzione di «un’assemblea di cittadini» per dibattere dei temi relativi alla transizione ecologica.
Il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire – riporta Bloomberg – ha detto che le vendite dei maggiori rivenditori hanno subito un calo del 35% nei giorni in cui i gilet gialli hanno bloccato le strade e i magazzini. Macron, di suo, prova ad metterci una pezza in nome di «un’ecologia popolare, una grande concertazione sulla transizione ecologica e sociale con la missione di costruire un nuovo modello economico, sociale e territoriale di cui abbiamo bisogno». Ed ha fissato «tre mesi per costruire soluzioni accettabili e accessibili a tutti». Macron ha poi accennato ai francesi – molti dei quali si riconoscono nel movimento dei gilet gialli, che l’Eliseo non ha mai citato con questo nome – che sono andati ad abitare nelle periferie e che vanno al lavoro in auto: «Li abbiamo condotti, meccanicamente e collettivamente, nella situazione in cui si trovano oggi. Tutti abbiamo la nostra parte di responsabilità. Ma la mia responsabilità è semplice: garantire l’accesso ad un’energia che sia sufficientemente poco costosa e pulita».
In realtà, l’inquilino dell’Eliseo ha soprattutto un gran bisogno di soldi, 500 milioni, per colmare il buco lasciato dall’abolizione della patrimoniale, la Isf, tassa sulle grandi ricchezze e la collera di queste settimane «è quella di persone che abitano in campagna o in montagna e che non possono fare a meno che utilizzare la macchina per le cose necessarie per vivere – spiega a Left, Laure Dresler, artigiana e insegnante di italiano a Rennes – l’aumento del carburante è un vero problema per loro anche perché spesso la gente che vive in campagna è più modesta di chi vive in città. Spesso è stata proprio espulsa dalla città per via dei meccanismi della speculazione. Poi con l’aumento del carburante, aumenta anche il riscaldamento a petrolio (aumento di 0,50 cent al litro, ndr). Il pretesto ufficiale è l’ecologia però tutti sanno che, con la soppressione dell’Isf, ci vuole denaro». Con gli attacchi al sistema ferroviario (Sncf), il governo conta di tagliare ancora oltre 11mila chilometri di linee ferroviarie e il trasporto ferroviario è stato largamente sacrificato a vantaggio di quello stradale. Parallelamente, la compagnia petrolifera Total è esentata da qualsiasi contributo fiscale e ha mano libera per proseguire con le esplorazioni per estrazioni.
Per settimane, governo e media hanno cercato di gettare discredito bollando i gilet gialli come movimento della “Francia della periferia”, dei “territori dimenticati”, considerandolo una sorta di jacquerie fatta di persone ignoranti, inconsapevoli dei mutamenti climatici. Ma tutti i giorni 17 milioni di francesi fanno i pendolari fuori dal loro comune di residenza, i due terzi dei lavoratori attivi; l’80% utilizza l’auto privata. Il problema della tassa supplementare, in un contesto in cui il livello ufficiale dell’inflazione è valso da pretesto per non aumentare i salari, riguarda quindi una larga maggioranza di salariati.
Per giustificare la sua tassa carburante, il governo ha evocato la necessità di combattere il surriscaldamento climatico e al contempo le emissioni di gas a effetto serra e di polveri sottili. Il portavoce del governo, Benjamin Grivaux, ha pensato di ottenere l’appoggio della sinistra ecologista denunciando «chi si fuma una sigaretta e chi usa il diesel». Ma ha mancato l’obiettivo.
«Perché le persone hanno questo sentimento di ingiustizia dovuta alle politiche fiscali di Macron? Perché ha aiutato prima di tutto i ricchi, non ha ancora fatto nulla per migliorare la tassazione delle grandi imprese che non pagano imposte da nessuna parte, e allo stesso tempo colpisce le persone normali», dice perfino il vicepresidente della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans del Partij van de Arbeid, “socialdemocratico”, annunciando la sua candidatura alla presidenza della Commissione Ue come candidato unico del Pse che prova a scaricare l’Eliseo promettendo addirittura «di cominciare a tassare le grandi imprese, che in alcuni casi hanno più potere degli Stati membri. All’inizio Macron era progressista, ma ora la politica che sta portando avanti non credo che lo sia», ha aggiunto il politico olandese, avvertendo che in vista delle prossime elezioni europee «bisogna essere chiari: in Francia ci sarà da scegliere fra degli europeisti progressisti e degli europeisti non progressisti, cioè fra noi e Macron».
La fiducia dei consumatori francesi – come quella riposta dagli elettori in Macron (tutti i sondaggi lo danno a un livello di popolarità inferiore a quello di Hollande dopo un periodo di mandato pari al suo) – cala ai minimi da oltre tre anni e mezzo (dal febbraio 2015): a novembre l’indice Insee mensile è sceso a 92 punti da 95 del mese precedente, oltre le previsioni degli analisti che si attendevano un calo di un solo punto. I consumi francesi sono da giorni sotto pressione proprio per la protesta dei “gilet gialli”.
Intanto, nel quadro della legge di bilancio 2019, la maggioranza di destra del Senato ha approvato lo stop agli aumenti sul carburante, anche se questa non corrisponde a quella dall’Assemblea nazionale controllata dal partito presidenziale En Marche. Dopo gli scontri di sabato sugli Champs-Elysées, 47 dei 103 individui fermati sono processati per direttissima mentre 28 si sono visti prolungare il fermo. In consiglio dei ministri, Macron ha paragonato gli scontri perpetrati dai casseurs a «scene di guerra» ed ha insistito sulla necessità di una risposta «globale» al malessere manifestato da chi è sceso in strada pacificamente. Da parte sua, la leader del Rn, Marine Le Pen, ha chiesto ai gilet gialli di «non prendersela con i giornalisti» vittime, in questi ultimi giorni, di minacce e tentati attacchi, soprattutto a Tolosa. Ieri, il Syndicat national des journalistes (Snj) aveva già condannato il moltiplicarsi delle violenze contro i reporter «Attaccare i giornalisti significa voltare le spalle alla democrazia», ha avvertito l’organismo, chiedendo un incontro urgente con il ministro dell’Interno, Christophe Castaner.
Ma chi sono questi gilet gialli? Somigliano più ai francesi che hanno duramente contestato la loi travail e gli attacchi ai diritti dei ferrovieri, degli universitari e dei funzionari pubblici da parte di Macron, oppure sono emuli dei Forconi italiani, l’inquietante accozzaglia che fu una meteora politica a cavallo tra 2011 e 2012 e che ora prova a rialzare in Italia la testa copiando i gilet ai francesi?
Il 17 novembre, in tutte le regioni francesi, si sono avuti perlomeno 2.500 blocchi agli incroci stradali, ai caselli, con la partecipazione – stando alla polizia – di almeno 30mila manifestanti, riconoscibili dal colore dei giubbetti che indossano, quelli di sicurezza obbligatori nei veicoli. Per l’intera settimana successiva, numerosi blocchi si sono mantenuti intorno a città secondarie e in zona rurale. Lo scorso sabato 24 novembre sono riprese nuove iniziative: oltre centomila partecipanti, di cui 8mila almeno a Parigi lungo il viale degli Champs Elysées, con 1.600 blocchi registrati in varie regioni.
«Il movimento non è stato avviato da alcun partito o sindacato – spiega Léon Cremieux, sindacalista e militante Npa, Noveau parti anticapitaliste – si è esclusivamente costruito a partire da reti sociali, intorno al rifiuto di un nuovo aumento (Tassa sul carbone) dei carburanti, tramite la Ticpe (Tassa interna di consumo sui prodotti energetici), programmata a partire dal primo gennaio 2019». È un aumento di 6,5 centesimi per un litro di gasolio e 2,9 per un litro di benzina Sp 95% (senza piombo, a 95 ottani, ndr). Nel 2018 la tassa sul gasolio era già aumentata di 7,6 centesimi: su un litro di gasolio al prezzo di 1,45 euro lo Stato percepisce attualmente circa il 60% di tasse, vale a dire 85,4 centesimi. Il governo prevede per il 2019 e 2020 di aumentarlo di altri 6,5 centesimi ogni anno. È la percentuale di tassa sul gasolio più elevata in Europa, dopo l’Inghilterra e l’Italia. Ma, a differenza della maggior parte dei paesi d’Europa, in Francia l’impiego del gasolio è largamente maggioritario e costituisce l’80% del consumo di carburante. Il prezzo del gasolio è aumentato da un anno del 23%.
Una petizione on line contro questi aumenti ha raccolto in qualche giorno migliaia di firme a metà ottobre, poi più di 1 milione agli inizi di novembre. Da qui, centinaia di gruppi e video in rete contro la tassa sono stati visionati milioni di volte su Internet, uno di questi prodotto da un esponente locale del gruppo di estrema destra Debout la France (Francia in piedi, ndr). Un trasportatore ha lanciato un appello per il blocco del viale periferico di Parigi il 17 novembre e, da allora, la data del 17 è diventata quella scelta da tutti i gruppi per migliaia di iniziative locali di blocchi stradali, di spartitraffico, segnalati in un sito creato per l’occasione da due internauti “gilet gialli”.
«Questo movimento si è scontrato direttamente con il governo, ma anche con i responsabili sindacali e politici! – scrive Cremieux, in un intervento tradotto nello Stato spagnolo dalla rivista Viento Sur – Sorprendente il contrasto tra il suo estendersi fra gli strati popolari, l’ampia simpatia ottenuta soprattutto nelle fabbriche, l’appoggio massiccio della popolazione (il 70% del sostegno il giorno prima del 14 novembre) e la caricatura che se ne è fatta in tante cerchie di sinistra, denigrando l’intervento del sindacato degli autotrasporti e quello dell’estrema destra, nonostante l’insieme dei sindacati padronali degli autotrasportatori abbia condannato i blocchi e chiesto al governo di sgomberare gli sbarramenti; quanto all’estrema destra, è vero che Nicolas Dupont Aignan, dirigente del movimento Debout la France, si è spolmonato dalla metà d’ottobre pur di esibirsi nei media con il suo gilet giallo. Analogamente, Il rassemblement di Marine Le Pen ha espresso il suo appoggio, pur sconfessando i blocchi stradali. La maggior parte degli organizzatori dei gilet gialli ci hanno tenuto esplicitamente a segnalare la loro distanza da quell’ingombrante sostegno».
Anche repubblicani e socialisti hanno espresso la loro cauta simpatia. Se, invece, alcuni responsabili di France insoumise come J.L. Mélenchon o François Ruffin, ed anche Olivier Besancenot (Nuovo partito anticapitalista) in vari interventi televisivi hanno tenuto a segnalare il loro sostegno al movimento, tutti i vertici delle principali organizzazioni sindacali (al contrario di molti militanti e strutture di base), non solo la Cfdt e Fo ma anche la Cgt e Solidaires, si sono rifiutati di appoggiare le manifestazioni, insistendo sulle manipolazioni dell’estrema destra e del padronato dei trasporti.
«I gilet gialli polarizzano un’esasperazione popolare dall’evidente carattere di classe, per quanto riguarda il potere d’acquisto, i salari e le pensioni – prosegue il sindacalista – mentre si fanno regali ai ricchi, ai capitalisti. Anche gli screditati partiti politici che hanno di volta in volta gestito il Paese sono responsabili della presente situazione sociale. Macron ne aveva approfittato per farsi eleggere ed oggi ne subisce l’effetto boomerang».
Grazie alle riforme fiscali del governo (soppressione dell’Isf [Imposta di solidarietà sul patrimonio], Flat tax sui redditi da capitale) l’1% dei più ricchi vedrà balzare in alto il proprio reddito del 6% nel 2019, lo 0,4% dei più ricchi si vedrà aumentare il potere d’acquisto di 28.300 euro, lo 0,1% di 86.290 euro. Nel frattempo, il 20% dei meno ricchi vedrà diminuire il proprio reddito, oltre alla mancanza di prestazioni sociali, la riforma dell’assegnazione di alloggi, il calo delle pensioni, mentre aumentano i prezzi.
Per ora il movimento operaio organizzato, dunque, è tagliato fuori e, come sostengono alcuni responsabili di Attac e di Copernic in una tribune di Le Monde, è il risultato dei fallimenti cumulativi dei movimenti sociali di questi ultimi anni. La volontà di fare blocchi, di azioni dirette, deriva anche dal rifiuto delle forme tradizionali, ma si colloca sulla linea di prolungamento degli interventi di blocco fatti negli ultimi anni dai settori sociali combattivi. «Non si vincerà questa diffidenza né la strumentalizzazione dell’estrema destra, né il rischio di antifiscalismo, praticando la politica della “sedia vuota” o colpevolizzando i manifestanti. Si tratta, viceversa, di darsi gli strumenti per pesare al suo interno e di vincere la battaglia culturale e politica dall’interno del movimento stesso contro l’estrema destra e le forze padronali che vogliono assoggettarlo».
Dalle strutture periferiche dei sindacati sono partiti diversi appelli unitari che hanno avanzato una piattaforma rivendicativa per aumenti salariali, contro la fiscalità indiretta che colpisce la classi popolari e per la tassazione progressiva dei redditi. Nelle reti militanti tutti i resoconti confermano la realtà popolare di questo movimento e la buona accoglienza e soprattutto l’accordo con rivendicazioni miranti alla reintroduzione dell’Isf e alla cessazione dei regali fiscali ai più ricchi.