Non fu l’epilessia ad ammazzare Cucchi. «Non ci sono elementi per suffragare l’ipotesi», ha spiegato in aula professor Federico Vigevano, il neuropsichiatra a cui il pm ha affidato una consulenza tecnica. L’ennesima udienza del processo a cinque carabinieri, tre dei quali per omicidio preterintenzionale, non è stata clamorosa come quelle che l’hanno preceduta: medici, neurologici, psichiatri e anche due parenti sono stati chiamati a testimoniare sulle condizioni di salute prima dell’arresto. «Cucchi non aveva epilessia attiva in quel periodo – ha detto il prof. Vigevano – dagli atti consultati non ci sono elementi per suffragare l’ipotesi di epilessia quale causa della morte». Certo è che emerge l’esistenza di un «disturbo post-traumatico da stress durante la degenza in ospedale» e comunque emerge anche «un atteggiamento di chiusura del paziente sul piano psicologico, atteggiamento che rientra nei sintomi dei disturbi post-traumatici». Da ricordare che i periti ai quali, nel corso dell’incidente probatorio, in fase d’indagine di questo procedimento, il gip affidò un accertamento tecnico, conclusero per la non certezza sulla causa della morte di Cucchi. Per loro si trattò di una morte improvvisa e inaspettata, con la supposizione di due ipotesi: causata da epilessia, o correlata a trauma. La prima ipotesi, a loro avviso, era dotata di maggiore forza e attendibilità nei confronti della seconda.
Pochi giorni prima del suo arresto, però, Stefano Cucchi stava bene. A raccontarlo è stata oggi in aula la cugina Viviana, che insieme con alcuni familiari incontrò il giovane a cena a inizio ottobre 2009: «Fu lui ad organizzare una cena in un ristorante sull’Appia andammo a mangiare una pizza. Ricordo che stava bene, si muoveva normalmente, mangiò molto con appetito». La ragazza ha ricordato anche che il mese precedente, Stefano andò a casa sua; «era un po’ giù di morale, aveva avuto problemi di tossicodipendenza e sapevamo che si stata riattivando. La sua difficoltà era perché non era facile; aveva scarsa autostima e cercai di tirarlo un po’ su. Ci raccontò che faceva sport, che gli piaceva. La sua forma fisica era normale, buona». Anche l’ex cognato Luca: «Negli ultimi mesi della sua vita, a parte il fatto che era magro, mi sembrava in normali condizioni fisiche. Mi raccontava che faceva pugilato, che si allenava tanto. Era per lui un modo per riprendere la vita, rispetto a un pregresso per la tossicodipendenza. Lui di costituzione è sempre stato molto magro; voleva combattere». L’ultimo loro incontro, il primo ottobre 2009. «Aveva organizzato una festa in un ristorante con i parenti più stretti. Quella sera non notai alcun segno particolare, a parte la magrezza. Camminava normalmente».
Insomma, era certamente magro ma stava bene. Ecco il quadro che esce dall’udienza. Dopo l’estate 2009, al ritorno in palestra, «Stefano lo vidi dimagrito, pesava poco oltre i 40 chilogrammi, secondo me non era idoneo per fare uno sport da combattimento, per allenarsi con me», ha testimoniato Salvatore Palmisano, chef e istruttore di palestra. «Gli consigliai di fare un periodo di sala pesi per recuperare un po’ di forma fisica – ha aggiunto – che io mi ricordi, comunque Stefano non manifestò mai difficoltà negli allenamenti. A volte ero io a frenarlo perché lui si allenava con grande foga; aveva molta voglia di allenarsi. E vedendolo, io non pensavo avesse problemi; si allenava con una tale foga!». Anche il proprietario della stessa palestra frequentata da Cucchi ha confermato che l’ultima volta che lo vide «magro, ma stava bene. Lui frequentava gli allenamenti con passione e costanza». Ha comunque ricordato che una volta chiamò il medico di famiglia del giovane, manifestando perplessità sullo stato di salute. «Mi disse che il certificato di sana e robusta costituzione che aveva rilasciato era valido e che poteva fare palestra». E così fu, la strisciata del suo badge testimonia che ci andò anche l’ultima sera, poche ore prima di incontrare quelli che, secondo l’accusa, sarebbero stati i suoi carnefici.
«Consulenti di neurologia e psichiatria, il cognato, la cugina e anche l’allenatore, l’usciere del Comune di Frascati e una compagna di palestra, tutti confermano che non si può morire di epilessia – commenta l’attivista di Acad che ha seguito anche questa udienza – che la tossicodipendenza non ha interazioni con essa. Le ultime persone che lo hanno visto quel giorno dicono che era magro ma che stava bene e soprattutto camminava spedito e non avevo nessun segno in faccia. Eppure la difesa dei carabinieri imputati continua a insistere sul fatto che era solo un denutrito, tossico, epilettico».
Intanto è stato ufficialmente sospeso il procedimento disciplinare di destituzione del carabiniere Francesco Tedesco, che, con la sua denuncia, ha fatto luce sul pestaggio che avrebbe subito Cucchi. La circostanza è emersa in udienza con una richiesta di acquisizione di documenti fatta dall’avvocato Eugenio Pini, difensore di Tedesco. La Corte allo stato non ha acquisito la documentazione, ritenendo la stessa potrà eventualmente transitare nel fascicolo processuale dopo l’esame dell’imputato. Nelle carte si ricostruisce l’iter di un procedimento disciplinare cui è da tempo sottoposto il carabiniere-imputato per la morte di Cucchi. Si parte con la nota di avvio dell’inchiesta disciplinare, e si continua con una serie di memorie, col primo diniego della richiesta di sospensione della destituzione, con la copia di un ricorso al Tar, fino all’accoglimento della nuova richiesta di sospensione del provvedimento di destituzione. L’avvio del procedimento disciplinare è stato motivato dall’Arma col ritenere il comportamento del vicebrigadiere Tedesco «contrario ai principi di moralità e di rettitudine proprio del giuramento prestato, del grado rivestito, nonché dello status di militare in generale e di appartenente all’Arma dei carabinieri in particolare» ma anche «lesivo dell’immagine dell’Istituzione».
Nelle successive memorie proposte nel tempo, il militare nega con forza tutti i fatti-reato contestatigli, contestando anche la ricostruzione fatta della vicenda. Segue il testo di un ricorso al Tar Puglia, proposto per contestare il no alla richiesta di sospensione dell’inchiesta disciplinare. Ultimo documento – quello ritenuto più importante – è il provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare che ha fatto seguito proprio al ricorso al Tar proposto. Il Comando generale dell’Arma, considerato che Tedesco risulta imputato e che la procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo d’indagine successivo alle sue dichiarazioni accusatorie, prende atto «dell’indeterminatezza conseguente alla mancanza di elementi conosciutivi per definire con margini di sufficiente certezza la posizione disciplinare del militare e del concreto rischio di assumere decisioni che potrebbero rivelarsi in netto stridore con quanto sarà poi eventualmente statuito dal giudice penale», e «considerato la particolare complessità dell’accertamento relativo al fatto addebitato», determina «la sospensione dei termini del procedimento» disciplinare «fino alla data in cui l’Amministrazione avrà avuto conoscenza integrale della sentenza irrevocabile che conclude il procedimento penale». «Il Comando Generale, appresi i fatti – ha detto ancora Pini – ha convenuto che la vicenda nella quale il vice Brigadiere, suo malgrado, è rimasto coinvolto è oltremodo complessa e, pertanto, è doveroso, oltre che opportuno, un preventivo accertamento definitivo ed irrevocabile da parte dell’Autorità Giudiziaria».