Il primo gennaio 2019 Jerome David Salinger (1 gennaio 1919, Manhattan, New York- 27 gennaio 2010, Cornish, New Hampshire), avrebbe compiuto cento anni. Fa ancora parlare di sé quasi per un solo romanzo, Il giovane Holden, diventato un cult per più generazioni. Due giorni di vita di un adolescente, cacciato dalla scuola, i turbamenti di un ragazzino che si sente impreparato alla vita adulta a cui si sta affacciando, la solitudine e la fragile dolcezza di chi pensa che il mondo sia per lui un altrove. Tutto qui. Eppure fa breccia. E continua ad essere un successo internazionale, Italia compresa dove ha conosciuto più di 50 edizioni, l’ultima delle quali nel 2014, firmata da Matteo Colombo, gli ha regalato nuova vita e freschezza.
Il modo in cui mette a nudo il suo mondo interno in subbuglio ha un sapore universale, certamente. Ma è innegabile anche che la sparizione di scena di Salinger all’apice del successo, il suo voltare le spalle al jet set letterario newyorkese per ritirarsi a vivere in campagna, in un paesino, al confine del Vermont abbia contribuito a far crescere un’aura speciale dintorno a questo romanzo, uscito nel 1951. quando il suo autore era poco più che trentenne.
Salinger poi pubblicò tre raccolte di racconti, l’ultima nel 1963, e niente più. Niente più interviste, silenzio totale, anticipando la fuga di Pinchon e lo studiato anonimato di Elena Ferrante. Di Salinger, però, se si sa che continuava a scrivere affidando i suoi manoscritti e le sue fitte notte a una cassetta in banca, rifiutandosi tuttavia di pubblicarli. La tv stava già prendendo il sopravvento gossip e la spettacolarizzazione della letteratura non gli si addiceva. Non era uomo da salotti. Al mondo degli adulti preferiva l’incanto dei ragazzini, come lascia intendere, nonostante tutto, la caustica biografia scritta da sua figlia, che ci restituisce l’immagine di serate in casa Salinger passate con i classici del cinema e i siparietti divertenti dello scrittore per distrarre i ragazzini dalla tv. Quel poco che è filtrato di lui, ma tanto è bastato per far entrare nell’immaginario del Novecento i suoi Franny e Zooey: una ragazza in crisi, un fratello che la vorrebbe aiutare, un programma radiofonico a cui partecipano, nel corso degli anni, i sette bambini della famiglia Glass, mentre cresce l’insoddisfazione per un mondo che cammina in modo sbagliato, a cui lo scrittore Salinger cercò di fuggire, nascondendosi in provincia e in studi di filosofie zen e poi sempre più misticheggianti. Prima però ci ha lasciato folgoranti Nove racconti ( 1953): dove ritroviamo Seymour Glass, l’ermetico, tenero, impassibile, disturbato Seymour, e la saga della sua famiglia, disfunzionale, generatrice di patologie, che dopo Salinger saranno scandagliate e messe coraggiosamente in luce da letteratura e cinema (magistrale resta Family life (1971) di Ken Loach).
Tragico e bruciante è anche il racconto in cui Seymour, reduce dalla guerra ( come il suo autore), in Florida con la giovane moglie Muriel, borghese e “normale”, comincia ad apparire strano: si rifiuta di parlare con gli adulti. Piuttosto preferisce Sybil, un “topino” incontrato sulla spiaggia. Questi drammatici racconti si possono rileggere oggi nelle classiche edizioni Einaudi. Chi volesse approfondirne la figura di uomo e scrittore invece consigliamo di cercare la monumentale biografia Salinger firmata da David Shields e Shane Salerno uscita in Italia nel 2014 per i tipi di ISBN (gloriosa casa editrice che non c’è più). Scritta con la tecnica serrata del documentario in presa diretta, questa monumentale biografia si presenta come un ritratto polifonico in cui si intrecciano le voci di parenti, amici ed ex commilitoni dello scrittore americano durante la seconda guerra mondiale. Esperienza centrale, che segnò uno spartiacque nella vita di Jerome David Salinger secondo la ricostruzione dei due autori che, attraverso una minuziosa raccolta di lettere, documenti, foto e testimonianze inedite, provano anche ad indagare le ragioni dell’isolamento in cui si chiuse per quasi 60 anni. Il critico letterario Shields e il regista Salerno ipotizzano (in primis sulla base dell’epistolario di Salinger e di sue rare interviste) che il giovane dandy newyorchese di buona famiglia pensasse che il fronte lo avrebbe fatto diventare uno scrittore
più profondo e maturo. Salvo poi subire un forte ed inevitabile choc. In particolare dopo aver visto con i propri occhi Dachau. A cui si aggiunse l’aver appreso dai giornali che, mentre lui era al fronte, la fidanzata Oona O’Neill aveva sposato Charlie Chaplin. Queste esperienze, secondo i due biografi, innescarono la forte crisi che successivamente portò Salinger ad allontanarsi da tutto.
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