L’ex militare neo presidente utilizza il nazionalismo per sottomettere il Paese agli interessi Usa. Con la complicità della Chiesa pentecostale. Parla la leader di sinistra, che promette opposizione dura, dopo che la coalizione per cui era candidata è stata sconfitta

Manuela D’Ávila, candidata alla vicepresidenza del Brasile alle elezioni di ottobre e dirigente del Partido comunista do Brasil (PCdoB) nonostante i 47 milioni di voti presi dalla coalizione con cui ha sfidato l’estrema destra di Bolsonaro, è oggi all’opposizione. Il presidente che si sta per insediare è un ex militare, espressione della destra più reazionaria e violenta, che durante la campagna elettorale ha promesso morte ai suoi oppositori. Lei, trentasette anni, aria indomita, un carisma costruito nella militanza e una simpatia contagiosa. A chi le chiede se ha paura risponde di non trovare il tempo per averne. E non si rassegna, ripetendo che: «Anche nel giorno più freddo, quando sembra che l’inverno non possa finire, è necessario ricordarsi che la primavera inevitabilmente arriverà».
Guardando gli Usa di Trump e l’Europa a partire dall’Italia, dove il ministro dell’Interno, fra i primi a congratularsi con Bolsonaro, parteciperà alla cerimonia per il suo insediamento, possiamo fare similitudini tra il nostro Paese e il Brasile?
Il punto di partenza è diverso. Gli effetti della crisi economica hanno prodotto da noi danni enormi non consentendoci, dal governo, di fornire risposte sufficienti. Il tutto in una situazione di fragilità istituzionale. La destra brasiliana si muove nello stesso solco di quella italiana. L’attacco più violento, in campagna elettorale, è stato condotto contro le donne. Si propongono leggi per impedire l’aborto anche in caso di stupro (ne avviene uno ogni 11 minuti), ma l’attacco è generalizzato. Le donne sono le prime a…

L’intervista di Stefano Galieni a Manuela D’Avila prosegue su Left in edicola dal 28 dicembre 2018


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