Alle città d’arte sono necessari studio, ricerca e fantasia. A partire dal concorso per l’ampliamento di Palazzo dei Diamanti di Ferrara bloccato dal Mibac, una riflessione sulla possibilità di dialogo tra l’antico e il contemporaneo

Siamo alla fine del ’400, il duca Ercole I d’Este governa la città di Ferrara e ne decide un vasto ampliamento, una addizione chiamata erculea. Compra tutti i terreni che poi rivenderà alla cittadinanza a prezzo maggiorato perché urbanizzati (si speculava anche allora!) e grazie all’architetto Biagio Rossetti disegna un grandioso progetto urbanistico modernissimo ma che sa dialogare con la città medioevale. Il fratello del duca si fa costruire dallo stesso architetto il palazzo dei Diamanti, al centro di questa addizione urbanistica, e realizza una straordinaria quinta in un quadrivio spettacolare, con quattro edifici che competono in bellezza ed eleganza. Come ogni palazzo rinascimentale che si rispetti possiede due grandiose facciate rivestite di diamanti marmorei, un cortile porticato e, separato da un portale, un giardino.

Dopo i gravi bombardamenti della guerra, mentre il giardino rimane abbandonato, il palazzo riprende vita nel 1963 quando lo storico direttore Franco Farina ha una grande intuizione che è quella di creare nelle stanze abbandonate del piano terra una galleria di arte moderna e contemporanea che farà fare un salto culturale importante alla città, contribuendo a sprovincializzarla e portando in mostra grandi artisti italiani da De Chirico a Morandi e Vedova, a tutta l’arte americana allora abbastanza sconosciuta in Italia. La necessità di nuovi spazi portò poi all’utilizzo della seconda ala del palazzo che negli ultimi anni è stata collegata alla prima da una passerella coperta, nello spazio del giardino. Dopo il terremoto del 2012 il Comune decise di…

(hanno collaborato Fiammetta Nante e Corrado Landi)

L’articolo di Giancarlo Leonelli è tratto da Left in edicola dall’1 febbraio 2019


SOMMARIO ACQUISTA