La chiamano già “l’Obama al femminile”. Kamala Harris, avvocato 54enne di origine tamil e giamaicana, tenterà la scalata alla nomination Dem per le elezioni presidenziali Usa 2020. Lo ha ufficializzato la scorsa domenica con un comizio nella sua città natale Oakland, baluardo anti-trumpiano nella rossa California. Se dovesse vincere, Harris sarebbe la prima donna afro-americana e asio-americana a correre per la presidenza.
Ex-procuratore generale e attuale senatrice della California, le sue posizioni politiche sono molto simili a quelle dell’ex presidente democratico Barack Obama. La linea che propone è abbastanza moderata, riuscendo in questo modo a mettere d’accordo sia l’ala radicale che quella più centrista dei Democratici. Parlando del suo curriculum, ha dichiarato: «Io ho una qualifica unica: sono stata una leader del governo locale, del governo statale e del governo federale. Il pubblico americano vuole una combattente… e io sono pronta a esserlo». D’altronde, come lei stessa ha confermato, le prossime elezioni non saranno ordinarie perché sono le circostanze a non esserlo. La presidenza Trump ha minato molti dei capisaldi della cultura statunitense, arrivando ad intaccare alcuni dei valori tipici della democrazia a stelle e strisce.
Nonostante Harris rientri abbastanza nel profilo del classico candidato moderato “di sinistra” americano, alcune delle sue posizioni sono abbastanza radicali. Ad esempio, è stata la prima senatrice ad affermare che si sarebbe rifiutata di votare una legge di bilancio se il Congresso non avesse riconfermato la protezione assicurata ai DREAMers, i figli di immigrati irregolari che Obama ha liberato dalla clandestinità. Ferma è anche la sua posizione sul Medicare for all, l’accesso all’assistenza sanitaria gratuita che rappresenta un tasto dolente per gli Stati Uniti. Il suo appoggio alla causa è il ponte che collega il centrismo di Harris all’estremismo di Bernie Sanders, con cui combatte fianco a fianco per eliminare la speculazione sulla sanità privata. Nel programma anche diritti Lgbt, maggiore attenzione all’immigrazione e al processo di integrazione, senza dimenticare le prospettive del pianeta a livello ecologico e la tanto discussa legge sulle armi da fuoco.
La duttilità politica di Kamala Harris, però, non esclude una dura opposizione al governo Trump. Durante il comizio del 27 gennaio a Oakland, la neo candidata non ha risparmiato le critiche alla politica dell’attuale presidente, pur senza nominarlo mai direttamente. Una nota di stile che denota la sua esperienza nel campo della politica e che la allontana dal rischio di strumentalizzare i fatti personali del proprio avversario per utilizzarli come arma all’interno di un dibattito, una tattica che in passato si è rivelata un’arma a doppio taglio. Ha detto molte altre cose in modo molto chiaro, invece, tra cui: «America, noi siamo meglio di così». Ha citato Robert Kennedy e parlato più volte di donne e movimento #MeToo, conquistando l’attenzione dell’elettorato femminile (che attualmente rappresenta il 53% dei votanti).
Kamala Harris non fa parte di quella blue wave di nuovi Dem che sono entrati in politica passando dai banconi dei bar. I suoi genitori erano due accademici e suo nonno un diplomatico indiano. Ha studiato in tre università diverse per diventare avvocato, decidendo di specializzarsi in diritto criminale. Un percorso che però non l’ha allontanata dalla realtà ma ha invece alimentato la sua passione per la giustizia. La sua missione come rappresentante della legge è stata ben riassunta da lei stessa durante il discorso dell’annuncio della candidatura: «In tutta la mia vita, ho avuto un solo cliente: le persone». Non a caso il suo slogan è “For the people”, per la gente.
La giurista, di origine tamil e giamaicana, ha annunciato la partecipazione alla nomination del partito democratico. La sua linea mette d'accordo sia l'ala moderata che quella radicale. Con Sanders condivide la battaglia contro la sanità privata