«Quando ho ricevuto l’invito al 5th Mayoral Forum of human mobility, migration and development, l’incontro fra sindaci e amministratori di tutto il mondo sul tema dei migranti e dei rifugiati che si è tenuto sabato 8 dicembre 2018 a Marrakech, mi sono chiesto quanti di loro potessero conoscere Lampedusa, la sua storia, la sua “vocazione” all’accoglienza. Pensando anche a questo ho preparato il mio intervento, cercando quanto più possibile di “raccontare” la mia isola e l’incondizionata attenzione dei lampedusani nel fornire sempre un aiuto a chi ne ha avuto bisogno». Così Totò Martello, sindaco di Lampedusa, racconta la sua decisione di partecipare a uno degli incontri che preparava l’evento principale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, nella città del Marocco.
Cosa è il Global Compact for Migration? Molto si è detto e scritto in merito, ma di base quello che porta questo nome è un patto tra i Paesi appartenenti all’Onu finalizzato a governare in modo sicuro, regolare e ordinato le migrazioni dai Paesi origine, attraverso quelli di transito, fino a quelli di destino. Stabilisce, in questo senso, principi comuni: la dimensione umana delle migrazioni, la cooperazione in materia migratoria per governare un fenomeno transnazionale, il diritto degli Stati a esercitare la propria sovranità territoriale, il rispetto di uno Stato di diritto coerente con gli standard internazionali, il rispetto dei diritti umani al di là del tipo di status dei migranti, il riconoscimento delle pari opportunità per le donne, il primario interesse per la protezione dell’infanzia. Tutto ciò in un approccio integrato e coerente tra le politiche governative, da quella sull’immigrazione, a quella del lavoro dell’inclusione sociale, a quella di cooperazione con i paesi di origine e transito. Sembra il manifesto ideale di un periodo di grandi polemiche, il contenuto che guarda alle necessità di tutti. Eppure l’Italia si è astenuta. In sede di dibattimento parlamentare poi, dove si doveva decidere cosa fare, a fine febbraio, con l’astensione decisiva di M5s e Lega, la Camera ha approvato una mozione di Fratelli d’Italia contro il Global Compact.
Nel nono capoverso della mozione «in materia di contrasto dell’immigrazione clandestina e della mafia nigeriana», approvata con 112 voti a favore, 102 contrari (quelli del Partito democratico e di Liberi e Uguali) e l’astensione di 262 deputati, si impegna il governo «a non sottoscrivere il Global Compact for save, orderly and regular migration e a non contribuire in alcun modo al relativo trust fund».
Bisogna fare una distinzione. Un conto è il Global Compact, un altro il Refugee Compact, che invece l’Italia ha approvato. Entrambi i documenti non sono vincolanti, ma per il secondo testo sono solo due i Paesi che hanno respinto l’accordo internazionale: Stati Uniti e Ungheria. L’Italia – in questo caso – con la sua ambasciatrice alle Nazioni Unite Mariangela Zappia, ha invece votato a favore di questo documento internazionale che serve a offrire una cornice giuridica e politica comune a tutti gli Stati del mondo per la gestione dell’accoglienza dei rifugiati.
«In quei giorni c’era grande attenzione mediatica rispetto agli incontri di Marrakech, anche per via della decisione del nostro governo di non firmare il Global Compact. Ed io mi sono ritrovato ad essere l’unico sindaco italiano presente all’incontro», spiega il sindaco Martello. «Devo ammetterlo, sono rimasto sorpreso dall’accoglienza che ho ricevuto: ho incontrato funzionari, amministratori, rappresentanti di diverse organizzazioni e tutti appena sentivano il nome Lampedusa mi stringevano la mano e mi ringraziavano. Non ho mai considerato tutto quel “calore” come qualcosa che fosse rivolto a me, ma ai miei concittadini. Io rappresentavo la mia isola, ero lì per questo. E per lo stesso motivo alla fine del mio intervento gli applausi, sinceri e convinti degli altri partecipanti, so che sono stati rivolti non a me, ma ai lampedusani: a quanti hanno aperto le loro case, hanno preparato un pasto caldo da offrire a chi era giunto sull’isola dopo giorni di navigazione, e dopo mesi di interminabile calvario umano. Quegli applausi erano rivolti ai pescatori ed ai volontari che da anni soccorrono e aiutano, spesso nel silenzio mediatico, chi ha bisogno di loro. E quegli applausi erano anche per i tanti che, purtroppo, non ce l’hanno fatta come gli oltre 360 morti annegati a poche miglia dalla nostra costa il 3 ottobre del 2013. Anche per questo ho chiesto, al Forum di Marrakech, che il 3 ottobre possa diventare la Giornata europea della memoria e dell’accoglienza. Perché se non ricordiamo da dove veniamo, se non onoriamo la memoria di chi non è riuscito a compiere fino in fondo il proprio cammino per una vita migliore, non possiamo costruire un futuro capace di mettere al centro le persone, prima dei confini».
Quali sarebbero i cambiamenti effettivi portati da questo approccio globale?
Per riassumere in un approccio schematico, nel Patto sono indicati 23 obiettivi con relativi impegni per raggiungerli, oltre a 230 le misure che gli Stati dovrebbero applicare per garantire migrazioni regolari, ordinate e sicure, misure che prevedono di elaborare politiche, accordi internazionali, procedure ed eventualmente legislazioni atte a raggiungere i 23 obiettivi. Premesso che non è vincolante, è difficile non vederci un tentativo globale di darsi delle regole nella tutela delle persone e nel rispetto dei Paesi di partenza, transito e arrivo. Come Lampedusa.
Un approccio, quello del sindaco Martello, di chi conosce la frontiera, perché la abita e ne ha la responsabilità civile e istituzionale. Un approccio pragmatico, come quello di realtà della società civile che ben conoscono i fattori dei quali si parla.
Per Guglielmo Micucci – direttore di Amref Health Africa Italia, «può avere dei limiti, ma il Global Compact è il primo tentativo di governance globale rispetto alle migrazioni e questo è un elemento estremamente innovativo. Un approccio che resta una dichiarazione d’intenti, certo, ma inizia un percorso».
Percorso che, intanto, Amref e 34 altri partner della società civile e tra le istituzioni che la frontiera la vivono, hanno avviato in un piano triennale con il progetto Snapshots from the Borders.
«Il progetto vuole rendere visibile quello che accade sui confini. Un prima e un dopo il frame dello sbarco. Che diventa il centro delle narrazioni e lascia indietro tutto il resto. Non c’è solo il barcone, ci sono comunità e istituzioni, attori della società civile e persone, che sono in un contesto molto più ampio del momento dello sbarco. Un progetto che mira a ragionare sulle dinamiche di partenza e sui fattori d’attrazione, tenendo sempre al centro l’idea dell’accoglienza, ma coinvolgendo enti locali su proposte e pratiche di governance. Lavoriamo a un consesso di comunità di frontiera, un Border Town Network, che possa portare avanti l’idea di mettere in rete sia le problematiche, che le possibili soluzioni. Senza dimenticare il grande valore che, nella storia dell’umanità, l’essere comunità di confine e di confronto ha sempre avuto a livello culturale e umano».
Il comune di Lampedusa, non a caso, è parte fondamentale di questo progetto. Che è urgente, come tutte le alternative reali e concrete quando il dibattito si focalizza su un approccio troppo ideologico. Ne ha bisogno Lampedusa, come il resto dei comuni del progetto, che coinvolge 14 Paesi europei. Ne ha bisogno l’Italia, come tutti gli altri. Perché la frontiera sia un luogo della legalità e dei diritti, della cooperazione e dello scambio. E per non lasciarla al business.
Nei giorni scorsi, grazie a una procedura di accesso civico agli atti pubblici, un gruppo di realtà della società civile italiana (Cild – Coalizione italiana libertà e diritti civili, Rete disarmo e Asgi – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) hanno ottenuto l’accesso al contenuto dell’accordo Italia-Niger sottoscritto dai rispettivi Governi il 26 settembre 2017, ma non ratificato dal Parlamento italiano e mai reso pubblico finora. Ancora segrete le due lettere inviate dal governo del Niger all’Italia, ma secondo uno degli animatori dell’iniziativa, il ricercatore e giornalista Francesco Vignarca, portavoce di Rete disarmo: «È poco specifico, una sorta di copia e incolla degli altri e non tiene conto della situazione del Paese in questione tanto che si fa riferimento a possibili visite di navi anche se il Niger non ha sbocchi marittimi. L’Accordo si inserisce in quella pratica poco ortodossa del ricorso ad accordi in forma semplificata che vengono sottratti al procedimento di previa autorizzazione legislativa alla ratifica e, dunque, al controllo delle Camere prima che essi impegnino lo Stato italiano. Elemento a nostro parere particolarmente grave, è quello che l’accordo con il Niger semplifica la vendita di armi a un Paese che, non producendo a sua volta armi, non è un reale partner commerciale».
Le migrazioni, senza una volontà globale di confronto e soluzione delle complessità, rischiano di essere un terreno dove si incontrano speculazioni differenti. E l’Italia ha tutto l’interesse a fare chiarezza e a regolamentare un fenomeno globale come spesso si chiede a gran voce.
Oltre all’accordo con il Niger, in questi giorni, ha fatto molto discutere anche il dossier che la rivista Valori ha pubblicato sul tema del business dei confini. Claudia Vago, project manager di fondazione Banca Etica che ha seguito il progetto, ha lanciato l’allarme: «Nel Nord Europa è ormai prassi consolidata: la gestione dei centri per migranti viene affidata a grandi società dietro le quali stanno reti di holding, fondi di private equity, banche d’affari e investitori poco trasparenti con forti intrecci con la politica. Ora questo sistema, che funziona sui grandi numeri e con la riduzione drastica di personale e servizi di integrazione, si prepara ad arrivare in Italia, grazie al decreto sicurezza che, smantellando l’attuale sistema di accoglienza diffuso e concentrandolo in grandi centri, apre le porte a queste grandi società». Negare l’accesso alla società civile, privatizzando l’accoglienza, oltre che riportandola a un criterio concentrazionario a livello di strutture, per Fondazione Banca Etica e per le organizzazioni non governative è un passo indietro sul piano dei diritti individuali e un passo verso la finanziarizzazione dei servizi alla persona.
Una governance globale è necessaria, una regolamentazione condivisa che tenga al centro il rispetto delle persone è urgente. Snapshots from the Borders parte dalle comunità di confine per una condivisione di pratiche, problematiche e soluzioni che possano servire da garanzia contro la speculazione di frontiera.