«In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 1) Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati. 2) Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo». Il 20 novembre prossimo compirà 30 anni la Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite di cui abbiamo appena citato l’articolo 3 e che risulta ratificata da 196 Paesi, fra cui l’Italia (1991). Da tempo anche da noi si dimostra che gran parte della Convenzione viene totalmente o in parte violata (v. Left del 22 febbraio 2019), ma è soprattutto l’articolo citato, nella parte in cui si da la preminenza “all’interesse superiore del fanciullo”.
Invece oltre ai tanti casi di sfruttamento lavorativo e di maltrattamenti messi in atto da privati in Italia, da tempo sono alcune istituzioni locali ad infrangere tale Convenzione. Su Left abbiamo parlato a lungo di quanto accaduto a Monfalcone (scuola materna negata a bambini stranieri), Lodi (accesso alla mensa gratuito a figli di migranti in assenza di alcuni documenti difficili da procurare nel paese di provenienza) e poi Pisa, piccoli Comuni in Lombardia e in Veneto. Numerose sentenze stanno dando torto agli amministratori locali che si sono resi responsabili di tali discriminazioni con la conseguente rimozione degli ostacoli limitativi e il pagamento delle spese legali e di risarcimento da parte dei Comuni suddetti, ovvero della collettività e non degli autori di tali provvedimenti. L’ultima vicenda di cui è stata data notizia riguarda un comune del veronese dove un sindaco ha dato disposizione che ad una bambina, la cui famiglia non pagava la mensa, venisse negato il pasto dato agli altri alunni e che, per bontà d’animo, le fossero dati crackers col tonno, davanti ai compagni di scuola, tanto per umiliarla un po’ e farle capire come funziona a Minerbe, il paese in questione, a trazione leghista. Poi si è saputo che non era la prima volta che accadeva, in precedenza avevano provveduto docenti a donare il proprio pasto a chi incappava nel severo amministratore che “non voleva danneggiare chi pagava”. Già chi viene danneggiato? Le famiglie o i bambini? Ma forse anche questo sindaco non ha trovato modo e tempo di leggere la Convenzione.
A risolvere il problema sono intervenute le istituzioni superiori, la Regione, qualche procura pronta a riportare la giustizia? No. È intervenuto un giocatore di calcio, Antonio Candreva, romano di Tor De’ Cenci che in silenzio è intervenuto pagando la mensa per tutto l’anno scolastico e per tutti gli alunni di famiglie non abbienti. Ringraziando il bel gesto del calciatore, che ha mostrato di non ragionare con i piedi, ci poniamo una domanda. In un altro paesino, più piccolo, in Calabria ma più noto, Riace, il sindaco si è assunto la responsabilità di garantire lavoro a due cooperative sociali per la raccolta di rifiuti e di celebrare un matrimonio fra un riacese e una ragazza nigeriana. Atti condotti senza alcun motivo di frodo e gestiti diligentemente secondo la Corte di Cassazione, comunque non riconducibile con certezza a reati ma su cui la Procura di Locri esprime un giudizio diverso. Per questi “reati”, per un impianto accusatorio ritenuto dalla cassazione e da altri organi della magistratura Domenico Lucano, il sindaco di Riace è stato rinviato a giudizio. Si lascerà processare e rifarebbe quello che ha fatto. Certo, con la sua amministrazione si è anche aperta una scuola elementare per bambini figli di migranti e riacesi e non si è posto il problema della retta. I bambini debbono mangiare no? Debbono studiare no? Ma Lucano oggi non può neanche rientrare al suo paese, ha persino un divieto di dimora. Invece i “sindaci antibambini” del Nord, continuano a governare impuniti.
Sarebbe troppo chiedere che, così come si possono rimuovere i consigli comunali sospettati di infiltrazioni della criminalità organizzata si potessero attuare simili procedure verso chi disobbedisce alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, quella ratificata dal maggior numero di Paesi al mondo (Italia compresa)? Sarebbe troppo far comprendere ai “bravi cittadini” magari orgogliosi dei “sindaci orchi” del “prima gli italiani” che esistono leggi e convenzioni che non possono essere violate? Le “infiltrazioni” di cui sono protagonisti questi amministratori non sono meno gravi di quelle mafiose, diffondono un germe pericoloso e infettivo, quello della cattiveria, della rabbia, dell’esclusione di chi è più povero o in difficoltà. Dovremmo pretenderle sanzioni del genere e imporre che taluni elementi valoriali non possano essere subordinati a nessuna giustificazione di bilancio. La giustizia di cui avrebbe bisogno questo paese dovrebbe proteggere e sostenere chi lavora come Domenico Lucano e tanti altri ma rendere impossibile a chi viene meno ai propri doveri di amministratore ogni azione discriminatoria. Amministrare è difficile ma bisogna dimostrare di esserne degni e di lavorare per il bene di tutta la collettività, a partire dai più vulnerabili. Domenico (Mimmo) Lucano, potrà sempre dire di averlo fatto e guardarsi ogni mattina davanti allo specchio, chi affama o caccia i bambini per sentirsi forte, no.