Siamo sulla meravigliosa costa ionica della Calabria a Caulonia con Mimmo Lucano, a pochi km da Riace, dove da ottobre vive in esilio forzato per via dell’inchiesta che si è abbattuta su di lui e sul modello ventennale di accoglienza che è riuscito a sviluppare in questi luoghi, studiato ed apprezzato in tutto il mondo civile. Il processo assorbe ogni suo pensiero e la preoccupazione è palpabile, vive lontano dalla sua casa, dalla sua famiglia, non è più sindaco e non può lavorare, ma Lucano tiene a ribadire: «Ho perso tutto, rifarei tutto». Anche perché in buona sostanza, cosa ha fatto? Quando delle persone sono in pericolo di vita come si può non aiutarle? Sarebbe inaccettabile fare il contrario. Per questo dico che per es. Carola Rackete, come fece Impastato contro la mafia, ha trasmesso un messaggio universale di umanità con la sua resistenza a Salvini. In questo siamo simili. Entrambi siamo stati accusati del reato di umanità. Io l’ho commesso sulla terra, lei in mare. Dopo due anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, riscontri sui conti correnti e tanto altro non è stato trovato nulla che potesse provare un suo arricchimento nella gestione dello Sprar di Riace, comune di cui è stato sindaco per tre mandati. Il gip stesso ha detto che non ho preso una lira. E la Cassazione ha messo nero su bianco che in relazione ai reati che mi hanno contestato (matrimoni combinati, turbativa d’asta etc, ndr) ho agito per fini moralmente apprezzabili e come prevede la legge. Per questo ha chiesto di revocare le misure cautelari che mi tengono in esilio. Ma, cosa mai successa, la procura non ha tenuto conto della Cassazione. Posso dire che c’è un accanimento? Per di più io non sono più sindaco, come posso reiterare il reato? Già, perché c’è questo accanimento? Cosa rappresenta Riace? Io sono un militante come tanti, non sono io che faccio paura. Penso che Riace faccia paura a quei partiti che hanno fondato il loro potere sulla battaglia alle Ong e al mondo dell’accoglienza, perché dietro c’è una precisa progettualità politica. Le persone che arrivano sono i nuovi proletari, l’accoglienza è il prodotto di un’ingiustizia del mondo: c’è dunque un’idea politica di costruzione di una società diversa e dell’accoglienza che è antitetica a quella di una società che crea nuovi schiavi. Io penso che questa idea sia stata recepita da tanti e che però sia anche la causa della vicenda giudiziaria che mi riguarda. Lei conosce la sua terra ed è sempre stato consapevole dei rischi che correva portando avanti il suo progetto. Le norme sull’accoglienza dei richiedenti asilo impongono dei limiti. Se un progetto scade dopo sei mesi, io non posso mettere per strada delle persone e interrompere i legami affettivi che i bambini hanno con i compagni a scuola. Sarebbe stato come realizzare una integrazione disumana. Alle europee del 26 maggio in tanti ci siamo chiesti perché tra i candidati non c’era il nome di Lucano. Da Bruxelles non avrebbe potuto battersi per portare avanti la sua idea di società? Non ho mai detto ad altri quello che sto per dire e mi assumo tutta la responsabilità. Mi hanno proposto con insistenza la candidatura dicendomi “tutta la sinistra converge su di te”. Poi mi ha chiamato una persona calabrese legata a Zingaretti per dirmi che se mi fossi candidato con loro sarei stato in lista più avanti del medico di Lampedusa. Mi sono trovato in questa situazione ed è stato allora che ho pensato alle parole del procuratore che mi sta giudicando. Vale a dire? Sapevo benissimo che sarei stato eletto. Sapevo benissimo quanto prende di indennità un parlamentare europeo e che da quella posizione sarebbe stato molto più semplice affrontare il processo magari invocando l’indennità. Il procuratore sa che con il modello Riace non ho preso una lira, allora la sua tesi è che ho fatto tutto per una questione di potere. Per queste sue parole non mi sono candidato. Gli avrei dato ragione e per me sarebbe stata una lesione, perché non è vero. Quello che ho fatto è solo una questione di umanità.  

Siamo sulla meravigliosa costa ionica della Calabria a Caulonia con Mimmo Lucano, a pochi km da Riace, dove da ottobre vive in esilio forzato per via dell’inchiesta che si è abbattuta su di lui e sul modello ventennale di accoglienza che è riuscito a sviluppare in questi luoghi, studiato ed apprezzato in tutto il mondo civile. Il processo assorbe ogni suo pensiero e la preoccupazione è palpabile, vive lontano dalla sua casa, dalla sua famiglia, non è più sindaco e non può lavorare, ma Lucano tiene a ribadire:

«Ho perso tutto, rifarei tutto».

Anche perché in buona sostanza, cosa ha fatto?

Quando delle persone sono in pericolo di vita come si può non aiutarle? Sarebbe inaccettabile fare il contrario. Per questo dico che per es. Carola Rackete, come fece Impastato contro la mafia, ha trasmesso un messaggio universale di umanità con la sua resistenza a Salvini. In questo siamo simili. Entrambi siamo stati accusati del reato di umanità. Io l’ho commesso sulla terra, lei in mare.

Dopo due anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, riscontri sui conti correnti e tanto altro non è stato trovato nulla che potesse provare un suo arricchimento nella gestione dello Sprar di Riace, comune di cui è stato sindaco per tre mandati.

Il gip stesso ha detto che non ho preso una lira. E la Cassazione ha messo nero su bianco che in relazione ai reati che mi hanno contestato (matrimoni combinati, turbativa d’asta etc, ndr) ho agito per fini moralmente apprezzabili e come prevede la legge. Per questo ha chiesto di revocare le misure cautelari che mi tengono in esilio. Ma, cosa mai successa, la procura non ha tenuto conto della Cassazione. Posso dire che c’è un accanimento? Per di più io non sono più sindaco, come posso reiterare il reato?

Già, perché c’è questo accanimento? Cosa rappresenta Riace?

Io sono un militante come tanti, non sono io che faccio paura. Penso che Riace faccia paura a quei partiti che hanno fondato il loro potere sulla battaglia alle Ong e al mondo dell’accoglienza, perché dietro c’è una precisa progettualità politica. Le persone che arrivano sono i nuovi proletari, l’accoglienza è il prodotto di un’ingiustizia del mondo: c’è dunque un’idea politica di costruzione di una società diversa e dell’accoglienza che è antitetica a quella di una società che crea nuovi schiavi. Io penso che questa idea sia stata recepita da tanti e che però sia anche la causa della vicenda giudiziaria che mi riguarda.

Lei conosce la sua terra ed è sempre stato consapevole dei rischi che correva portando avanti il suo progetto.

Le norme sull’accoglienza dei richiedenti asilo impongono dei limiti. Se un progetto scade dopo sei mesi, io non posso mettere per strada delle persone e interrompere i legami affettivi che i bambini hanno con i compagni a scuola. Sarebbe stato come realizzare una integrazione disumana.

Alle europee del 26 maggio in tanti ci siamo chiesti perché tra i candidati non c’era il nome di Lucano. Da Bruxelles non avrebbe potuto battersi per portare avanti la sua idea di società?

Non ho mai detto ad altri quello che sto per dire e mi assumo tutta la responsabilità. Mi hanno proposto con insistenza la candidatura dicendomi “tutta la sinistra converge su di te”. Poi mi ha chiamato una persona calabrese legata a Zingaretti per dirmi che se mi fossi candidato con loro sarei stato in lista più avanti del medico di Lampedusa. Mi sono trovato in questa situazione ed è stato allora che ho pensato alle parole del procuratore che mi sta giudicando.

Vale a dire?

Sapevo benissimo che sarei stato eletto. Sapevo benissimo quanto prende di indennità un parlamentare europeo e che da quella posizione sarebbe stato molto più semplice affrontare il processo magari invocando l’indennità. Il procuratore sa che con il modello Riace non ho preso una lira, allora la sua tesi è che ho fatto tutto per una questione di potere. Per queste sue parole non mi sono candidato. Gli avrei dato ragione e per me sarebbe stata una lesione, perché non è vero. Quello che ho fatto è solo una questione di umanità.

 

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).