«Io l’odio l’ho visto. Non ne ho solo sentito parlare. E per odio non intendo quella cosa che si scatena tra condòmini quando scoppia una disputa per una lampadina. Io ho visto l’odio messo in pratica. Ne sono stata vittima in prima persona. Ho visto quando dalle parole si passa ai fatti. Ed è uno stacco minimo. Quando si dà il passaporto alla parola lo si dà anche al fatto».
Siamo con la senatrice a vita Liliana Segre sopravvissuta ad Auschwitz, tra gli ultimi testimoni della Shoah italiana e delle conseguenze provocate dalle leggi razziali di Mussolini. Ascoltando le sue parole non possiamo non pensare a quello che sta accadendo ai migranti naufragati nel Mediterraneo e agli immigrati “vittime” di una campagna politica fondata sull’odio e la falsa narrazione.
Quando in televisione passa la notizia di un barcone cappottato, io sento dire: basta con questa roba. È la stessa cosa che accadeva dopo la fine della guerra: basta con questi ebrei e l’Olocausto, non ne parliamo più. E si cambia canale. E l’Europa, non solo l’Italia, chiude i suoi confini.
Così le persone muoiono in mare, a migliaia, nell’indifferenza di un’opinione pubblica anestetizzata da una propaganda martellante che da anni insiste sul falso nesso immigrazione=delinquenza. C’è dunque un nesso tra l’odio e l’indifferenza, e l’anaffettività?
Prima dobbiamo dire che ci sono notevoli differenze sostanziali tra quello che accade nel Mediterraneo e ciò che è stato il genocidio degli ebrei. Un crimine questo deciso e organizzato a tavolino anni prima e consumato freddamente così come era stato pianificato. Il progetto era perfetto, il meccanismo di morte funzionava perfettamente senza una falla.
E oggi?
Oggi noi sentiamo qualcuno comandare che quella tal nave non può attraccare, il giorno dopo invece ad un’altra è concesso. Poi qualcuno del porto decide che non può lasciare annegare queste persone e corre a salvarle, un terzo si arrabbia e il quarto fa una nuova leggina. No, il nazismo era diverso.
Cos’è l’indifferenza?
Io l’ho vista negli occhi di quelli che facevano il “male”. Erano assolutamente indifferenti. Occhi vuoti, vitrei, su volti di pietra che mandavano a morire le persone senza muovere un muscolo. Tante volte mi sono sentita chiedere: Ma nel lager non c’è stato uno che è stato buono con lei? Io avrei tanto voluto dire sì, ma non c’è stato. Oppure mi sento chiedere: Lei ha perdonato? È una domanda intollerabile. Come questa cosa che i giornalisti fanno di chiedere ai genitori, magari dopo due ore che gli hanno ammazzato un figlio, se perdonano gli assassini… No, io non ho perdonato. E non dimentico. Perché è impossibile, non solo per quello che hanno fatto a me ma per il male che ho visto fare ad altri. Era assolutamente troppo, milioni di persone uccise con freddezza per la sola colpa di esser nate. Da qualche anno c’è crescente spirale di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e neofascismo, che pervadono la scena pubblica. E io oggi dal mio seggio in Senato combatto le parole dell’odio. Ma non dimentico.
Anche per questo Liliana Segre ha insistito affinché la parola «Indifferenza» fosse scolpita al Binario 21, il Memoriale della Shoah di Milano.
Non è una parola retorica ma è una parola gravissima. L’indifferenza fa sì che una persona non agisca una violenza fisica. Semplicemente volta lo sguardo dall’altra parte e smette di vedere.