Se alle prossime elezioni è in gioco la democrazia in Italia, allora è giocoforza richiamarsi alle elezioni del 1921 la legislatura nella quale Mussolini divenne presidente del Consiglio del Regno d’Italia il 31 ottobre 1922, dopo il resistibile successo della Marcia su Roma di pochi giorni prima. Detto così si conferma che quando i fatti storici sembrano ripetersi la prima volta sono una tragedia, la seconda una farsa.
Nel 1921 la responsabilità dell’accreditamento del fascismo fu dei liberali di Giolitti e dei nazionalisti di Corradini con le liste del Blocco Nazionale, sperimentate nelle amministrative del 1920, che peraltro furono la terza formazione con 1.260.007 voti, il 19,7 % e 105 seggi, preceduto dal Psi con 1.631.435 voti, il 24,7 % e 123 seggi e dal Partito popolare con 1 347 305 voti, il 20,39% e 108 seggi.
Salvini è, invece, arrivato al potere e al ministero degli Interni grazie ad un accordo di governo con il M5S , che si fonda, per la prima volta dal 1992, ultime elezioni con la proporzionale, su una maggioranza parlamentare, sostenuta da una maggioranza di elettori 16.430.753, il 50,03% per l’esattezza, 3 punti percentuali in meno del pentapartito Dc, Psi, Pri, Pli e Psdi del 1992, ma superiore al 46,81% del PdL del 2008, la più alta percentuale di Berlusconi con il maggioritario.
Sulla carta questo consenso popolare non sarebbe venuto meno con le europee del 26 maggio con 13.744.665 voti, il 51,325, ma su 6 milioni di voti validi in meno e con rapporti di forza invertiti all’interno della maggioranza.
Il pericolo per la democrazia viene dalla legge elettorale che grazie all’incostituzionale voto congiunto e alla quota di maggioritario 3/8 dei seggi, il 37, 50% consente alla lista o coalizione di maggioranza relativa, omogeneamente distribuita sull’intero territorio nazionale di ottenere la maggioranza assoluta del Parlamento, con il 37% dei consensi.
Una percentuale che stando ai sondaggi la LEFA può raggiungere da sola e superare agevolmente con l’accoppiata Salvini-Meloni, che sostituirebbe la Renzi-Boschi santificata dalle europee 2014.
Lo scenario in assoluto peggiore è votare con la legge n. 51/2019 e la riduzione dei parlamentari, perché il premio di maggioranza nascosto nel Rosatellum verrebbe amplificato. E’ vero che con elezioni anticipate molto probabilmente la riforma costituzionale salterebbe, ma non i pericoli per la democrazia di una maggioranza parlamentare al servizio di un premier, che aspira ai pieni poteri e che troverebbe un’intesa sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Primo ministro.
Il prossimo Parlamento (2019-2024) dovrà eleggere nel 2022 Il Presidente della Repubblica, che nei sette anni potrà nominare 4 giudici Costituzionali e rinnovarne direttamente 4 e nominare 8 membri del CSM La Costituzione se non è considerata un valore da tutelare è minacciata quotidianamente nei comportamenti della Pubblica amministrazione e per di più con gli organi di garanzia depotenziati. Una maggioranza a guida Lega ci darebbe l’autonomia differenziata, uno schiaffo all’art. 3 della Costituzione. Questi pericoli si evitano intanto impedendo che una minoranza abbia la maggioranza del Parlamento, obiettivo prioritario al quale sacrificare anche le obiezioni sulla riduzione dei parlamentari.
Le elezioni non devono essere gestite da un ministro dell’Interno, che come dimostreranno i ricorsi, che saranno discussi in ottobre contro le elezioni europee, proprio sul terreno elettorale è stato un fallimento.
Ci vuole un nuovo governo di garanzia costituzionale, con una maggioranza che comprenda il M5S. Le difficoltà ci sono e gli ostacoli e i pretesti verranno da chi vuole mantenere questa legge perché gli assicura una maggioranza popolare, che ancora non ha non ha, e da chi vuole salvare le coalizioni, come unità anti-salviniana. Soltanto una legge elettorale proporzionale potrà invertire la crescente astensione, e motivare alla partecipazione la maggioranza democratica e costituzionale.
Nel 1921 a fronte del pericolo fascista la sinistra si è divisa pensando, sbagliando, che la situazione fosse matura per la rivoluzione e i democrati borghesi, che i fascisti fossero un pericolo minore dei “rossi”, socialisti o comunisti che fossero. In questo momento in Parlamento non abbiamo, né Gramsci, né Matteotti e i rapporti non sono idilliaci, ma non è con l’appello all’unità democratica per salvare una presenza minoritaria in Parlamento che si ricostruisce una sinistra con un progetto alternativo, che abbia come obiettivo il superamento delle divisioni del XX secolo.
Nel 1996 l’Ulivo con Rifondazione raccolse 14.600.00 voti, nel 2008 centrosinistra e Sinistra arcobaleno erano ancora poco più di 15 milioni, nel 2018 PD, Leu e PaP poco meno di 9 milioni, nel frattempo i voti validi sono passati da 37.484.3988 a 32.841.025 per scendere a 26.783.7632 alle europee del 2019: per contrastare l’autoritarismo non basta l’unità dei sopravvissuti.