Le autorità stanno cercando in ogni modo di disperdere le proteste di massa a Hong Kong, giunte ormai al 13esimo weekend consecutivo. Il Fronte civile per i diritti umani (Civil human rights front) ha annullato la manifestazione di protesta in programma domani 31 agosto, dopo che la polizia di Hong Kong ha deciso per la prima volta di vietare un loro evento, incrementando il già altissimo livello dello scontro con i manifestanti per la democrazia. Bonnie Leung, vice coordinatrice del Fronte, ha annunciato che la decisione di annullare la marcia è arrivata ore dopo l’arresto di tre attivisti, tra i quali il leader del movimento degli ombrelli del 2014, il giovanissimo Joshua Wong (22 anni). La polizia aveva vietato la manifestazione e si era rifiutata di rivedere la sua decisione, dopo la richiesta degli organizzatori, che hanno quindi deciso di annullare l’evento per «proteggere i manifestanti e assicurare che non ci fossero conseguenze legali per loro», ha spiegato Leung.
«Non abbiamo avuto altra scelta che annullare la marcia. Chiediamo scusa, ma continueremo a chiedere alle autorità di autorizzare nuove manifestazioni», ha aggiunto. «È significativo che le autorità abbiano vietato un evento di un’organizzazione come la nostra. Si tratta di una violazione assoluta dei diritti umani più elementari della popolazione di Hong Kong. Non è possibile fidarsi di questo sistema». Per questo «non abbiamo altra scelta che continuare con il nostro movimento. È nella natura umana che se le richieste non vengono ascoltate, il popolo di Hong Kong diventerà più radicale, e questo è qualcosa che il Fronte non vuole vedere. Ecco perché continueremo a chiedere che ci facciano manifestare modo pacifico», ha concluso.
Nella retata contro gli attivisti, oltre al più famoso Joshua Wong Chi-fun, sono stati arrestati anche Agnes Chow, tra i leader di Demosistō (partito democratico di cui Wong è segretario e fondatore) e Andy Chan, capo di un partito politico a favore dell’indipendenza (l’Hong Kong national party). Wong e Chow sono stati poi rilasciati su cauzione, ma a entrambi è stato disposto il divieto di circolazione tra le 23 e le 7, nonché il divieto di ingresso nell’area dell’Admiralty, il centro dell’ex colonia dove si sono già tenute le più grandi mobilitazioni contro la legge sulle estradizioni in Cina. A proposito dell’arresto di Wong, Demosistō ha twittato: «È stato arrestato questa mattina, intorno alle 7:30. È stato con forza spinto in un mini van privato sulla strada, in piena luce. I nostri avvocati stanno seguendo il caso». Wong era stato rilasciato solo lo scorso giugno, dopo aver scontato due mesi per i disordini durante il movimento degli ombrelli del 2014.
Andy Chan, invece, è stato fermato all’aeroporto internazionale di Hong Kong mentre tentava di salire a bordo di un volo per il Giappone, accusato di rivolta e aggressione di un ufficiale di polizia. Agnes Chow era stata prelevata nella sua casa a Tai Po questa mattina. Da quando sono iniziate le proteste all’inizio di giugno, sono finite in carcere oltre 800 persone. In questo clima di crescente tensione, molti dei dimostranti che avrebbero dovuto scendere per strada durante la marcia di domani sfogano il loro malcontento sui social network: «Non ci spaventano. Più la rabbia collettiva aumenta più persone si ribelleranno», «Anche se utilizzeranno i carri armati, io ci sarò ancora». Gwong fuhk, alla lettera “tornare a brillare”, è lo slogan ufficiale della rivolta.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, Beijing avrebbe ordinato a Lam di non cedere a nessuna delle richieste dei manifestanti, tra cui le sue stesse dimissioni, il ritiro della legge sull’estradizione, il lancio di un’investigazione indipendente sul comportamento deplorevole della polizia e l’accettazione di elezioni democratiche a suffragio universale, oltreché il ritiro delle accuse contro i dimostranti e della definizione di “rivoltosi” nei loro confronti. Secondo il direttore di Amnesty International Hong Kong, Man-kei Tam, «nelle scorse settimane, abbiamo assistito a tattiche spaventose che provengono direttamente dal sistema cinese: gli organizzatori delle proteste pro-democrazia attaccati da delinquenti, attivisti arrestati dopo essere stati pedinati nelle proprie case e in strada, e un’enorme marcia vietata».
«Questo weekend ho partecipato agli scontri più violenti mai visti a Hong Kong tra i dimostranti e la polizia – scrive Alessandra Bocchi, giornalista freelance che sta seguendo le proteste da vicino -. La polizia ha utilizzato cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomma; un poliziotto ha puntato la pistola contro un protestante e la stampa. I dissidenti tiravano mattoni raccolti per strada (…) e bombe a benzina fatte in casa, oltreché bombe molotov. Utilizzavano laser per evitare il riconoscimento del volto da parte delle telecamere». Il risentimento nei confronti della polizia sarebbe cresciuto dalla scorsa settimana, quando una giovane donna ha perso un occhio dopo essere stata colpita da un proiettile di gomma. «Molti protestanti marciano con cartelli che chiedono a Trump di approvare l’Hong Kong Human rights and democracy act», un atto per sostenere la libertà e la democrazia ad Hong Kong in un momento in cui la sua autonomia è sotto assalto, e stabilire misure punitive contro il governo cinese, responsabile della soppressione delle libertà fondamentali nell’ex colonia.
I media cinesi continuano a propagandare l’idea che le proteste siano state coadiuvate dagli Stati Uniti, e che gli americani stiano pianificando di portare instabilità nella zona. «È ridicolo» ha detto un dimostrante a Bocchi, sventolando una bandiera americana – che per gli hongkonghesi è semplicemente sinonimo di democrazia e libertà. «Vorrei chiedere a quelli che continuano a diffondere queste notizie come pensano che due milioni di persone possano essere pagate per scendere in strada?», un altro asserisce: «Questo è ciò che la propaganda cinese vuole farti credere».