Se ne parla più o meno da quando si è insediato. Ora è diventato realtà: la speaker Democratica della Camera Nancy Pelosi ha annunciato l’inizio delle indagini preliminari per un processo di impeachment al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Secondo Pelosi, Trump ha «tradito il suo giuramento, tradito la sicurezza nazionale e tradito l’integrità del processo elettorale. Nessuno è al di sopra della legge», ha detto Pelosi il 24 settembre quando in Italia erano le 23.
Oggetto delle indagini sarebbe una telefonata tra Trump e il neopresidente ucraino Volodymyr Zelensky, in cui il presidente Usa ha chiesto con insistenza di avviare delle indagini sulla società del gas Burisma, in cui fino all’aprile del 2019 sedeva Hunter Biden, figlio dell’ex vicepresidente Joe Biden. In cambio di qualche notizia che potesse distruggere il suo principale avversario alle prossime elezioni, Trump avrebbe sbloccato aiuti militari all’Ucraina per circa 391 milioni di dollari. Ovviamente il presidente nega tutto, arrivando a twittare «presidential harrasment», molestia presidenziale.
Non è la prima volta che i Democratici parlano di mettere in stato d’accusa il presidente Trump, ultimo tentativo è stato quello dell’indagine del procuratore Muller. Cosa è cambiato adesso? Innanzitutto, il caso Ucraina riguarda le prossime elezioni, quelle del 2020, invece che quelle passate. Poi la base da cui partire sembra molto più solida di quella del Muller report, che scavava nel possibile coinvolgimento di Mosca nella sconfitta di Hillary Clinton alle votazioni del 2016. Attualmente, 204 deputati appoggiano l’impeachment a Trump, 131 sono contrari o indecisi e 99 aspettano di vedere come si svolgeranno le indagini, sostiene il New York Times.
Ora le indagini cercheranno di appurare se ci siano i presupposti previsti dalla Costituzione per la deposizione di un presidente, cioè «tradimento, corruzione o altri gravi reati». Nella storia degli Stati Uniti, soltanto tre presidenti sono stati messi in stato d’accusa: Andrew Johnson, Bill Clinton e Richard Nixon, che però si dimise prima che il procedimento iniziasse formalmente. Né Johnson, né Clinton sono stati condannati.
Di certo, un possibile impeachment avrà delle ripercussioni sulla campagna elettorale e le elezioni del 2020. C’è chi parla di un processo divisivo per il popolo americano e chi la vede come una possibile soluzione al togliersi di mezzo Donald Trump. Di certo, come fa notare il professor Arnaldo Testi, i candidati alle primarie democratiche dovranno decidere se continuare la loro campagna elettorale puntando sui contenuti, come vorrebbero Elizabeth Warren e Tulsi Gabbard, oppure se si lasceranno distrarre dallo svolgimento delle indagini, che spesso conducono in direzioni inaspettate.
Apertamente a favore è invece la senatrice Kamala Harris, anche lei candidata alle primarie Dem, che ha definito Trump il presidente meno patriottico della storia degli Usa. Un’altra voce celebre del Partito democratico, la giovane deputata Alexandria Ocasio-Cortez, già il 23 settembre aveva dichiarato che se il Congresso non avesse deciso di procedere con l’impeachment sarebbe stato un enorme scandalo.
Ora bisognerà attendere lo svolgersi delle indagini preliminari. A nulla è servita la tardiva dichiarazione di Trump, che ha assicurato che fornirà le trascrizioni integrali delle telefonate con Zelensky. Sarà la fine della carriera politica di The Donald, o un nuovo autogol del Partito democratico?