Ad otto anni dalle primavere arabe e dall’inizio della guerra in Siria, nel Kurdistan siriano cresce e continua a svilupparsi un progetto politico fondato su una democrazia radicale e diretta. Un esperimento che ha contribuito in modo decisivo alla sconfitta dell’Isis e che parla di convivenza tra diverse etnie, uguaglianza tra i generi e approccio ecosostenibile al territorio. Parliamo del Confederalismo democratico immaginato da Abdullah Ocalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) da 20 anni prigioniero politico in Turchia, e realizzato in Rojava.
Un patrimonio di teoria e prassi di cui si parlerà a Roma sabato 5 e domenica 6 ottobre, al Teatro Palladium, durante la conferenza internazionale «Confederalismo democratico, municipalismo e democrazia globale» organizzata da Uiki onlus e promossa dal Municipio VIII. La due giorni romana vede l’adesione di sindacati come Fiom e Cobas. Ad intervenire, tra gli altri, Yilmaz Orkan (Uiki onlus); Massimiliano Smeriglio, eurodeputato Pd; Dalbr Jomma Issa, comandante Ypj. E ancora, Debbie Bookchin, giornalista e scrittrice (autrice di un reportage dal Rojava per Left) e Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace.
«Il convegno nasce da un lungo percorso che incrocia la secolare vicenda curda, emblema di tutte le popolazioni che nutrono una aspirazione di libertà e cercano un riconoscimento politico internazionale – ci spiega Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII, istituzione che ha co-organizzato l’evento -. Nel 2011, con lo scoppio della guerra in Siria, l’esperienza del Rojava, mentre si trovava a fronteggiare un corpo a corpo contro l’oscurantismo dello Stato islamico e le autocrazie del Medio oriente come la Turchia di Erdogan, si è fatta portavoce dei valori di umanità e democrazia, raccogliendo una incredibile solidarietà internazionale».
Il presidente turco Erdogan, in calo di consensi, è tornato a minacciare l’esperienza rivoluzionaria in atto nel Kurdistan siriano, paventando ancora l’ipotesi di un’annessione di quei territori. Qual è la situazione in Rojava?
Il conflitto è purtroppo assolutamente vivo. Se le forze democratiche siriane, a partire da Ypj e Ypg, (le unità di protezione popolare e delle donne del Rojava, ndr) hanno vinto la battaglia contro l’Isis, non cala la tensione in uno scenario geopolitico che vede la Turchia come una forza con mire espansionistiche e imperialiste sull’area. È in questo contesto che sopravvive la grande operazione teorica e di sperimentazione politica nata nel Kurdistan siriano. Dove la Federazione democratica della Siria del Nord ha saputo rimettere in discussione le proprie vocazioni indipendentiste e lavorare sul campo alla costruzione di processi partecipativi, a partire dall’idea del Confederalismo democratico immaginato da Ocalan. Un progetto che ha come elemento determinante la convivenza civile e il confronto continuo. E che fissa alcuni punti cardinali, alcuni valori, che sono diventati oggetto di discussione internazionale a sinistra. È proprio per questo abbiamo scelto di ospitare a Roma questa conferenza, che in passato si era tenuta ad Amburgo. Proprio in Italia, va ricordato, si è sviluppato uno dei movimenti di solidarietà nei confronti del Rojava più partecipati, che ha visto l’organizzazione di staffette e carovane che hanno portato in Kurdistan aiuti umanitari ma anche solidarietà politica.
Qual è l’aspetto del confederalismo democratico di cui la sinistra in Italia dovrebbe fare più tesoro?
Innanzitutto, il confederalismo è uno strumento da adottare per mettere alla prova le reali vocazioni antisovraniste che dovrebbero animare la sinistra. Di fronte all’emergere dei nazionalismi e alla recrudescenza dei movimenti reazionari e di destra, inoltre, il progetto nato da Ocalan non è rimasto una semplice testimonianza ideologica, ma ha ricostruito un orizzonte culturale che si fonda sull’ecologismo radicale, sul ruolo centrale della donna e la sua autonomia, e sul tema della ricostruzione dei nessi democratici, a partire dal municipalismo, e dunque dal ruolo fondamentale delle città come luogo in cui le diverse comunità, con le loro differenze, si riconoscono e confrontano. Mentre in Italia si discute della costruzione di un campo largo a sinistra, dunque, il confederalismo democratico con i suoi valori può essere uno strumento per rigenerarsi e assemblare una proposta credibile. Lo ha fatto l’Hdp in Turchia, lo si è fatto in Rojava, ed è assurdo che non lo si possa fare anche qui in Italia. Qui dove storie e culture differenti possano lavorare ad un progetto autonomo, che unisca il largo fronte di forze ecologiste, democratiche e di sinistra. Per dare voce, a partire da Roma, a quel sentimento di amore democratico nei confronti dei processi a difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici.
Parlare di Kurdistan ci porta a parlare anche di migrazioni, e di chi ancora oggi affronta il mar Mediterraneo dopo essere fuggito dai conflitti del Medio oriente. Mentre dal governo Conte 2 tardano ad arrivare segni di reale discontinuità sul tema…
Il punto è che Ue ed Italia ancora non hanno pienamente compreso la grande crisi del Medio oriente e del continente africano, e quindi il grande ruolo che l’Europa potrebbe avere in questo scenario. Si continua ad affrontare la questione migratoria con dispositivi securitari, mentre se – come accade – diciamo di far parte di un mondo globale, dovremmo accettare che le nostre società siano immediatamente aperte ai movimenti delle persone. E poi lavorare affinché questa apertura, al contrario di chi la dipinge come evento drammatico, sia occasione per costruire connessioni che favoriscano la crescita collettiva.
Nel frattempo qui a Roma, il centro culturale Ararat – fondato 20 anni fa, proprio nei mesi in cui Ocalan era in Italia e gli veniva rifiutato asilo politico – è ancora a rischio sgombero.
Il centro è esempio di una città che era capace di accogliere e dava spazio ad iniziative autonome di protagonismo di comunità politiche che nella Capitale volevano offrire un contributo. Una città che si sentiva pienamente globale. E che oggi non esiste più. Ciò nonostante, mentre vediamo ogni giorno depauperarsi ogni luogo di confronto, ed esperienze come Ararat vengono messe in discussione, quel luogo resiste e continua ad essere un laboratorio per ripensare la politica, anche tra i confini cittadini.