Oggi di buongiorno tocca farne due perché l’ex ministro dell’Interno Salvini, probabilmente obnubilato dal digiuno, è riuscito a toccare il fondo ancora più in fondo del solito superando ogni potabile decenza mentre suonava al citofono di un privato cittadino colpevole, secondo le voci di quartiere, di essere uno spacciatore.
Un processo sommario e per direttissima in cui l’uomo dei pieni poteri si è attaccato al citofono come un venditore di scope elettriche accompagnato da una selva di telecamere e giornalisti plaudenti.
Qualche considerazione, veloce veloce: quanta vigliaccheria ci può essere nell’accusare in diretta di fronte a milioni di persone un uomo, dando nome e cognome, per sentito dire, accompagnato dalla scorta senza la quale Salvini non ha nemmeno il coraggio di lavarsi i denti (cit. il premio Campiello Andrea Tarabbia)?
Perché Salvini si attacca alla gola solo dei disperati e non citofona mai a un ‘ndranghetista (ce ne sono migliaia con sentenze passate in giudicato senza bisogno delle voci del condominio) chiedendogli «scusi lei è un mafioso?»
Perché Salvini non citofona ai poteri forti davvero forti come una multinazionale qualsiasi che devasta la nostra economia chiedendo «scusi, lei è un evasore?»
Perché Salvini teme i suoi processi, si inventa nuovo Silvio Pellico, e intanto sputa addosso agli altri addirittura le sentenze?
Perché le forze dell’ordine si prestano a insozzare la divisa seguendolo nelle sue scorribande?
Perché i giornalisti non si rendono conto che tutto questo orrore è ingrassato dalla nostra indignazione ma è tenuto in vita dal loro servilismo? Perché nessun giornalista ha messo Salvini di fronte alla brutalità del suo gesto piuttosto che farne la corte?
E soprattutto perché Salvini se la prende solo con i disperati, meglio se stranieri?
Perché quella è la sua dimensione, solo quella: il pubblico ubriaco di cattivismo, le telecamere, il condominio. La sua dimensione è quella del bulletto di periferia. Che vorrebbe essere Presidente del Consiglio.
Buon mercoledì. Ancora.