Affrontare la realtà che ci si è trovati tra le mani, rischiando di scontrarsi con essa ma senza mai scontarla, per lasciare intatta la propria visione e trasmetterla agli altri. È la vita di ogni intellettuale che si metta in discussione sostenuto dalla propria immaginazione. Non a caso, L’immaginazione è la rivista di ricerca letteraria con cui Piero Manni e la moglie Anna Grazia D’Oria radicavano a San Cesario nel leccese la loro avventura editoriale nel gennaio 1984, la stessa che avrebbero trasmesso e irrobustito insieme ai figli Grazia, Agnese e Daniele. Uomo rigorosamente di sinistra, che mai ha temuto la parola “ideologia”, ma si è tenuto saldo ai suoi ideali, a una visione inclusiva e paritaria della società, Piero Manni si è spento il 22 maggio scorso, a pochi giorni dal suo 76esimo compleanno. Una volta laureatosi in Storia e filosofia, prima di diventare un punto di riferimento come editore indipendente, per circa vent’anni ha insegnato dietro le sbarre, ai detenuti delle carceri di Lecce. Manni Editori, con il suo logo essenziale, quasi si trattasse di un incrocio stilizzato, la testimonianza di un incontro che ha superato il corso del tempo, ha incoraggiato due generazioni di scrittori.
«Mio padre mi ha insegnato a farmi insegnare dagli altri, nel lavoro e nella vita – racconta la figlia Agnese – a chiedere, a cercare degli interlocutori; credeva fermamente nel lavoro collettivo. Comincio dall’editing, come si fa con i manoscritti: mi ha insegnato a essere rispettosa, a trovare la voce dell’autore mettendo da parte la mia. Poi c’è la tipografia: mi ha insegnato a toccare i libri, a conoscerli come prodotti fisici. Il magazzino: mi ha insegnato a scaricare i pacchi, affinché provassi la fatica che fanno i librai, i magazzinieri della logistica. Mi ha insegnato ad arrampicarmi sugli scaffali e a trovare i titoli da me. Mi ha insegnato a cercare un dialogo con gli autori, con i giornalisti, a ma anche con il fruttivendolo o con le mie nipoti o il posteggiatore abusivo».
Manni considerava i libri strumenti di comprensione, di apertura, capaci di portare l’attenzione sulle situazioni di emarginazione. E lo dimostrano le personalità che gli hanno dato fiducia, da Alda Merini a Edoardo Sanguineti, da Maria Corti a Massimo Bray. La pubblicazione con cui ha esordito la casa editrice nel 1985 è stata proprio un’antologia, Segni di poesia/lingua di pace, con versi di Cacciatore, Caproni, Leonetti, Luzi, Malerba, Pagliarani, Volponi, Zanzotto e altri.
Per Manni il valore della poesia è sempre stato inestimabile, la potenza concreta di un verso quale «guerra alle guerre è una guerra da andare, / lotta di classe è la guerra da fare», dal Mikrokosmos di Sanguineti. La prima collana della casa editrice si è specializzata nel settore della letteratura, con testi e saggistica: si intitola “La scrittura e la storia” ed è stata promossa da Romano Luperini, che ancora oggi la dirige.
Non poteva scegliere compagno d’arme migliore, quel Luperini che lo chiamava affettuosamente «Pierino» e che continua a insistere sulla riassunzione di responsabilità da parte di chi scrive e di chi analizza i testi. Ne La fine del postmoderno (2005) anticipava lucido il dopo Eco, il trionfo della “società trasparente”, nonché le estreme conseguenze del pensiero debole e del nichilismo morbido, rimarcando l’esigenza di un impegno intellettuale e artistico che riproponesse la centralità della contraddizione e del conflitto. Negli anni Luperini e Manni hanno preso le distanze da un contesto che denunciava le ideologie per poi cadere a capofitto in un’altra ideologia, la più subdola, che poneva in scacco qualsiasi metodo volto a cogliere una causa ultima dei movimenti storici e dei comportamenti sociali.
«Quando un amico scompare – dice a Left lo scrittore e critico letterario Antonio Prete – i tanti momenti di vita in comune e di incontri riappaiono con una loro luce più forte. Tra le tante immagini di Piero, voglio ricordare due particolari. La sua cura e passione per le radici – di cultura popolare, propria di un Salento contadino – che portava non solo nelle nostre conversazioni, nella rievocazione di espressioni e parole dialettali e di condivisi ricordi, ma anche nella scrittura dei suoi racconti. Fu lui a procurarmi via via tutte le edizioni di libri riguardanti la Grecìa, compreso il Dizionario dei dialetti salentini del Rohlfs. Sentivo che nei nostri incontri questa comune radice era un legame forte. A questo sguardo sulle radici corrispondeva una grande curiosità per il mondo della cultura in generale e per le forme letterarie. Voglio anche ricordare in che modo, quando gli parlai di Edmond Jabès e del suo desiderio di visitare Lecce, si adoperò perché lo scrittore fosse accolto con la moglie per una settimana a Lecce: Lì ci furono seminari, incontri all’Accademia di belle arti, serate bellissime».
Ora alcuni scritti importanti di Jabès figurano nella collana “Quaderni del gallo silvestre” che Prete dirige per loro. La generosità contagiosa di Manni e la sua dedizione nei confronti della terra che abitava con rispetto si sono realizzati nell’impegno politico.
«Come si usava un tempo – aggiunge Nicola Fratoianni, portavoce nazionale Sinistra italiana – il partito (Rifondazione comunista, ndr) mi aveva mandato a fare il segretario regionale in una regione importante, la Puglia. Anche con lui condividemmo la straordinaria esperienza della prima vittoria di Nichi Vendola nel 2005. Piero era un intellettuale militante, la casa editrice, la politica e l’insegnamento in carcere. Quando in Puglia si aprì un’inaspettata stagione di cambiamento, si candidò e venne eletto in consiglio regionale nelle liste di Rifondazione. L’ultima volta che mi ha chiamato, non molto tempo fa, voleva espormi un nuovo progetto editoriale. Se ne va una persona appassionata e intelligente. Che la terra ti sia lieve».
Eclettico e pacato, era solito ripetere che «la verità ha millanta facce» e la conferma è che abbia lasciato traccia in tanti, anche in chi lo ha soltanto sfiorato.