Giovedì scorso il programma Piazza Pulita ha avuto tra gli ospiti il dottor Piercamillo Davigo, magistrato e ormai volto noto nella tv italiana, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali ed il giornalista Alessandro De Angelis, Huffington Post.
La discussione riguardava lo scandalo Palamara, che sta scuotendo la magistratura, tema che ha fatto da spunto a riflessioni più ampie, e non sono mancate affermazioni discutibili.
Alla denuncia dell’avvocato Caiazza secondo cui l’Italia sarebbe un Paese giustizialista in cui si giudicano le persone dalle indagini e non dalle sentenze, il dottor Davigo ha ribattuto che «l’errore italiano è stato quello di dire sempre: Aspettiamo le sentenze». Per supportare questa affermazione, ben strana perché fatta da un magistrato, ha utilizzato degli esempi che potremmo definire “ad effetto”: se un amico invitato a cena lasciasse la nostra casa trafugando l’argenteria, tanto basterebbe per non invitarlo più. E ancora, rincarando la dose: se una persona venisse condannata in primo grado per pedofilia, tanto basterebbe per non fargli più affidare un bambino. Va riconosciuto che il dottor Davigo sa perfettamente quali tasti toccare – chiunque di noi prova ribrezzo pensando alla pedofilia – ed ha capito come far passare un certo pensiero senza destare scandalo negli ascoltatori poco attenti.
Ma se si presta attenzione, salta subito agli occhi che un magistrato, e non una persona qualunque, ha affermato in televisione, e non nel suo privato, che per esprimere un giudizio di colpevolezza non serve aspettare la sentenza. Il dottor Davigo sembrerebbe così avallare l’idea che la condanna sociale debba avvenire prima della sentenza definitiva, e che a tal fine basterebbero dei semplici indizi, un pensiero che rischia di intossicare la già sfiancata cultura civile del nostro Paese.
Nessuno vuol privare il dottor Davigo della propria personale opinione, ma non ci si può dimenticare che egli è un magistrato che viene invitato in televisione per il ruolo che ricopre e che in quel momento rappresenta la magistratura. Bisogna ribattere fermamente che “attendere le sentenze” significa applicare il principio di non colpevolezza sancito dalla nostra Costituzione, secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, uno dei principi cardine di un Paese civile, la cui negazione spalanca le porte al giustizialismo e alla giustizia “fai da te”.
Inoltre, legittimare la condanna di una persona prima della sentenza definitiva, oltre a invalidare la funzione giudicante della magistratura, rischia di incentivare il triste fenomeno della gogna mediatica al quale troppo spesso assistiamo.
Ci sono argomenti troppo importanti per non usare tutte le cautele necessarie, soprattutto in un Paese in cui l’opinione pubblica difficilmente aspetta le sentenze prima di giudicare il prossimo.
Lasciamo che siano i Tribunali a giudicare le persone con le sentenze emesse dai giudici, che dovrebbero essere il più possibile imparziali, e difendiamo i principi cardine della nostra Costituzione.
È una questione di civiltà. È una questione di umanità.
Federica Farina, avvocato