«Le donne son venute in eccellenza di ciascun arte ov’hanno posto cura», scriveva l’Ariosto.
Dalla seconda metà del ’500 cominciarono ad emergere per la prima volta artiste indipendenti. Come lo fu certamente Giovanna Garzoni, che troviamo già citata nel 1648 dal biografo d’arte Carlo Ridolfi nel suo Meraviglie dell’arte. Nata nelle Marche, giovanissima, con il fratello Mattìo approdò a Venezia dove studiò pittura con il pittore Tiberio Tinelli. Costretta a sposarlo riuscì a far annullare il matrimonio due anni dopo, sostenendo di aver fatto voto di castità.
In cerca della propria libertà, avendo studiato canto e musica, Garzoni (1600-1670) riuscì a farsi strada da sola, diventando un’artista molto contesa dalle corti dell’epoca. Dalla sua aveva un talento poliedrico di miniaturista, ritrattista, pittrice di nature morte e, sempre più, con l’avanzare degli anni, stimata illustratrice scientifica attenta allo studio della natura e dei suoi mutamenti, sulla strada aperta da Leonardo. Attenta alla concretezza, osservava a lungo i dettagli di frutta, fiori e insetti anche con la lente di ingrandimento. Poi con tocco minuto e poetico li ricreava su tela o su pergamena raccontando, attraverso il vibrare di una foglia e la fragile bellezza di una farfalla, il ciclo della vita, in composizioni luminose che suscitano riflessioni sul trascorrere del tempo, ben più delle oppressive ed eccentriche Vanitas che nel Seicento controriformista erano costellate di teschi come religioso memento mori. In un’epoca in cui la Chiesa di Roma sosteneva il culto delle immagini contro l’iconoclastia protestante, Giovanna Garzoni si legò piuttosto alla committenza laica dei Savoia, dei Medici e di contesse e di regine che adoravano i suoi ritratti e la sua raffinata ricerca visiva, che l’aveva portata a studiare calligrafia e a interessarsi di arte Ming attraverso le sete e porcellane che arrivavano dall’Oriente…
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE