La sinistra ha avuto ragione su (quasi) tutto, ma ha perso. Le analisi critiche svolte da un punto di vista socialista, ecologista, femminista si sono rivelate giuste, ma i diritti e i salari dei lavoratori, le condizioni delle donne e il nostro ambiente stanno peggio di prima. Le forze politiche che si ispirano a questi valori rischiano di scomparire. Abbiamo studiato e analizzato tanto, ora dobbiamo organizzarci. Per questo, ci vorrebbe un Partito.
Viviamo in una società sempre più ingiusta dal punto di vista economico e sociale. Le spaventose disuguaglianze si riflettono anche sul mondo politico: chi ha di più in termini di ricchezza e di potere ha anche maggiore forza e maggiore capacità per farsi ascoltare, mentre coloro che più sopportano il peso della crisi, della povertà, delle discriminazioni e dello sfruttamento hanno sempre meno forza e meno strumenti per farsi ascoltare.
In questi anni non sono mancati dalla nostra parte, dalla parte socialista ecologista e progressista della società, analisi e riflessioni sulle cause del malessere sociale che attraversa le fasce più basse della nostra società: i lavoratori e le lavoratrici, i precari e le precarie, le donne, i giovani, i disoccupati. Queste analisi e riflessioni si sono rivelate oltretutto per lo più analisi e riflessioni giuste. Come più giusto sarebbe il nostro Paese se le ricette che da quelle analisi abbiamo fatto derivare venissero tradotte in legge dal mondo politico. Eppure queste idee e queste riflessioni non hanno voce in politica.
In questi anni non sono mancate neppure le mobilitazioni da parte delle fasce di popolazione più colpite dalla crisi. Dalle manifestazioni oceaniche contro l’abolizione dell’articolo 18 alle piazze di Genova contro il G8, dal Social forum alle manifestazioni contro le guerre, dalle lotte dei precari e dei lavoratori fino ai Fridays for future, paradossalmente nel nostro Paese si è raggiunta una grande capacità di mobilitazione negli stessi anni in cui si è perso di più in termini di diritti e di benessere da parte della gente comune. In assenza di risultati tangibili, alla fine il potenziale dei movimenti sociali rischia di affievolirsi.
L’epidemia di coronavirus ed il tracollo economico che la sta accompagnando stanno evidenziando sempre di più le ingiustizie legate a questo stato di cose. Eppure tutti possiamo vedere che è in atto un tentativo di scaricare addosso alle lavoratrici e ai lavoratori, ai precari e ai giovani, alle partite Iva parasubordinate e agli artigiani, i costi sociali e ambientali della crisi. La nostra oligarchia capitalista si attende di ricevere tutto e di essere l’unica casta ad avere il potere di orientare tutte le scelte per far uscire il Paese dalla crisi.
O per farcelo cadere sempre di più, visto che l’epidemia ha fatto da acceleratore a tendenze già in atto di impoverimento del Paese, del lavoro e dei servizi pubblici. E così, dopo aver sopportato la crisi, dopo aver retto l’urto dell’epidemia ed aver pagato – statistiche alla mano – di più in termini di vite umane e di salute, ora si vorrebbe che le lavoratrici e i lavoratori, i precari e i giovani vedessero gravare sulle proprie spalle il peso della ricostruzione.
In questa situazione, le oligarchie non solo sono più forti e si ritrovano più mezzi a disposizione per farsi ascoltare, ma sono anche più attrezzate e meglio organizzate. Agiscono con unitarietà di intenti, dispongono di canali organizzativi e di mezzi di comunicazione di massa, hanno capacità egemonica, cioè di coinvolgere attorno alle proprie parole d’ordine anche pezzi di società non direttamente interessati alle loro ricette.
Per rispondere a questa offensiva le lavoratrici ed i lavoratori, i socialisti, i progressisti e gli ecologisti hanno il dovere di organizzarsi. Abbiamo accumulato analisi, pensiero critico, capacità di mobilitazione. Ora occorre organizzarsi e unirsi. Occorre far confluire tutti gli sforzi fatti fino a qui in una organizzazione aperta a tutti quelli che si riconoscono nella necessità di rappresentare i bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori, dei giovani e dei precari e che si riconoscono in un orizzonte di mutamento sociale; in una organizzazione chiusa soltanto ai rappresentanti politici dell’oligarchia e ai settarismi; in una organizzazione che si faccia interprete dei bisogni della società e non delle sommatorie del ceto politico; in una organizzazione che sappia raccogliere il meglio della storia popolare del Paese, del comunismo e del socialismo italiani, delle lotte sindacali e per i diritti, delle case del popolo; in una organizzazione rinnovata nelle facce e nelle pratiche organizzative e di propaganda.
Non è più attuale una distinzione tra “sinistra radicale” e “sinistra moderata”, tra gli idealisti e chi è disposto a scendere a compromessi: distinzioni destinate solo ad accendere dibattiti tra i pochi che riusciamo a coinvolgere. Come non è tempo per vie di mezzo, equilibrismi, tatticismi, attenzioni ossessive nei confronti delle ipotetiche alleanze, purismi identitari e rendite di posizione. Ci vorrebbe un Partito.
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