Ai dati sulla denatalità della popolazione italiana che ci sono stati comunicati da poco dall’Istat si è aggiunto il rapporto del Centro internazionale studi sulla famiglia, il Cisf, che ha redatto una riflessione sociale e antropologica sullo stato di salute della famiglia in Italia. Già il primo rapporto Cisf del 1989 segnalava tendenze allarmanti, previsioni che sono diventate attualmente realtà. Le famiglie sono sempre più piccole con uno o due componenti e il 36% dei giovani non vuole sposarsi, mentre il 40% non vuole avere figli. Ci sono stati alcuni interventi a commento dei risultati dello studio sopracitato sia sul settimanale Famiglia Cristiana che sul quotidiano Avvenire nella versione cartacea e online.
Il Covid, afferma il sociologo Pierpaolo Donati, che cura l’elaborazione dei rapporti del Cisf, «ha accelerato processi già gravissimi», dovuti, a suo dire, «alla crescita incontrollata delle nuove tecnologie sia in ambito mediatico che biologico», come l’ingegneria genetica, la riproduzione artificiale e la maternità surrogata, che in futuro ci faranno affrontare scelte drammatiche su come trattare le nuove configurazioni familiari “ibride”. Secondo il sociologo, la società «post-familiare» si costituisce con profili diversificati di nucleo familiare che si allontanano da quella «naturale»: le dinamiche relazionali sono interpretate in modo sempre più variabile e sganciate dai «modelli istituzionali forti».
I rapporti familiari sono diventati liquidi e fluidi determinando un crollo assai grave del tasso di natalità. La cultura emergente accentua la perdita della funzione sociale della famiglia, cioè del «valore prodotto dalla famiglia per la società». Pierpaolo Donati continua affermando che se la famiglia viene fatta coincidere con il puro privato, il «genoma familiare» che comprenderebbe, secondo lui, anche la generatività evaporerebbe. Il rapporto Cisf 2020 prevede fra qualche decennio un esaurimento dell’istituzione famiglia con effetto domino: l’intero tessuto sociale italiano sarebbe trascinato nella distruttività, determinando fenomeni difficilmente governabili. Ne sarebbero influenzati negativamente il sistema pensionistico, sanitario, assistenziale, ma cosa ancora più grave, la disgregazione dell’istituzione famiglia porterebbe ad un aumento della violenza domestica, dei femminicidi e degli abusi sui minori.
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, in un’intervista sulle pagine dell’Avvenire afferma che siamo di fronte ad una crisi di civiltà, ad una svolta epocale, come se il «genoma familiare», asse portante della sua identità, fosse costretto a rivalutare alcuni tra i suoi fondamenti. Non è una questione di destra o di sinistra, aggiunge, e non è solo una questione di soldi e di sgravi fiscali, seppur necessari, è una questione di civiltà: questo calo di natalità è il segno di una crisi culturale che ha radici profonde nel nostro recente passato. Per il cardinale, in Italia e in tutto il mondo occidentale, i figli e la famiglia sono considerati un intralcio all’arricchimento personale, alla carriera e all’autodeterminazione del singolo. Per il presidente della Cei la vita è fonte talvolta di ricchezza spirituale, relazionale e morale, ma anche di ricchezza concreta che implica uno scambio solidale fra generazioni, una necessità di produzione, uno sviluppo dei consumi e un dinamismo economico. Sono molte le riflessioni che potremmo sviluppare sia sui dati statistici che sui commenti che sono derivati dalla loro interpretazione sui media.
Nella cultura greca-romana il matrimonio era combinato dai padri degli sposi per motivi sia economici che politici come alleanze tra famiglie e unione di patrimoni: il consenso dei giovani non era necessario, in quanto il matrimonio assicurava la continuità del nome e la legittimità dei figli. La donna passava come una proprietà dal padre al marito, che aveva un potere sulla moglie pari a quello esercitato sui figli e sugli schiavi. I bambini, pur nascendo all’interno del matrimonio, dovevano essere accettati dal padre che poteva decidere della loro vita o morte in base ad un calcolo razionale come il numero di eredi a cui affidare il patrimonio dopo la sua morte o le possibilità economiche per mantenerli o dare un’istruzione. Fino all’adolescenza il figlio non era considerato un essere umano avente diritti. Negli ultimi tempi della Repubblica romana il matrimonio non si basava solo sul diritto naturale, cioè sull’unione sessuale di un uomo ed una donna, ma prevedeva il consenso degli sposi e il divorzio. Tuttavia, anche in questo caso la donna si trovava ad avere la peggio sia dal punto di vista sociale che economico. Il celibato era punito con la perdita dei diritti civili e con un’ammenda pecuniaria. La procreazione veniva incentivata dallo Stato per garantirsi un potenziale umano da investire nelle campagne di conquista territoriali.
La Chiesa cristiana, pur riconoscendo le unioni secondo il diritto romano, rese il matrimonio un sacramento e in quanto tale sacro e indissolubile: ben presto esso entrò nel diritto canonico. Il concilio di Trento nel 1563 definì la natura sacramentale del matrimonio in opposizione alle dottrine protestanti che l’avevano negata. Nei Paesi cattolici l’unione matrimoniale è stata di competenza del diritto canonico fino alla rivoluzione francese che ne affidò gradatamente in tutta Europa la pertinenza al diritto civile. Solo in Italia si è dovuto aspettare il 1865 perché fosse reintrodotto nel Codice civile, ma nel 1929 con i Patti Lateranensi è stato riconosciuto effetto civile anche ai matrimoni celebrati in chiesa. Sia i dati dell’Istat che il Rapporto Cisf colgono un cambiamento culturale nella nostra struttura sociale che non è solo italiana. È presente un rifiuto «dell’istituzione famiglia» come ci è stata culturalmente tramandata che aveva come fine preservare dei ruoli storicamente stabiliti all’interno di essa.
La donna aveva come unico destino la procreazione e nessuna legge che ne preservasse i diritti, a favore esclusivo dell’uomo. Il voto le è stato concesso in un passato recente: è a questo passato che si riferiscono gli interpreti del rapporto Cisf? È passato recente il diritto allo studio per le donne: solo dopo la metà del secolo scorso in numero sempre maggiore riuscivano a frequentare studi superiori e universitari. L’istruzione è stata sicuramente la svolta per avere una maggiore consapevolezza della propria identità non solo sociale ma anche umana. Procreare è diventata una scelta non un destino. «Nell’istituzione famiglia» così tanto declamata è insita una violenza culturale che ci portiamo dietro da secoli. Solo di recente i femminicidi e la violenza domestica sono arrivati alle cronache grazie alle associazioni che ne difendono i diritti, ma le leggi sono ancora inadeguate e le donne continuano a morire anche se denunciano.
Nel silenzio e nell’omertà maschilista le donne subivano in silenzio sia violenze fisiche che psichiche, non avevano scelta, quello era il loro destino. Chi si ribellava veniva rifiutata dalla società, fuori dalla cosiddetta “famiglia” il destino era o suora o prostituta o malata di mente. I casi di abusi sui minori da parte del clero cristiano…
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La neonatologa, pediatra e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti è docente della scuola di psicoterapia psicodinamica Biospsychè
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