Premessa del libro edito da Left, "La democrazia non è scontata. No al taglio dei parlamentari", a cura di Alfiero Grandi, vice presidente Comitato per il No promosso dal Coordinamento per la democrazia costituzionale

Premessa
Il Parlamento ha un ruolo centrale nell’assetto istituzionale democratico previsto dalla nostra Costituzione che – come è noto – è stata approvata sulla spinta della Liberazione dal nazifascismo ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. In precedenza il fascismo aveva soppresso, nel 1939, la Camera dei deputati, trasformata in Camera dei fasci e delle corporazioni che non era più eletta dai cittadini. In pratica era subalterna al governo fascista che racchiudeva in sé anche gran parte della funzione legislativa. Al superamento del Parlamento si è arrivati per gradi ma il risultato finale fu un accentramento autoritario di poteri negli organi del regime fascista, in particolare nelle mani del suo capo che era anche capo del governo e in questa veste aveva il potere di decidere quando e cosa discutere nella Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui componenti erano sostanzialmente rappresentanti del partito fascista e delle altre organizzazioni fasciste, che avevano gradualmente occupato lo Stato fino a impadronirsene.

Nella concezione moderna della democrazia i poteri debbono essere ben distinti.

Il legislativo pur avendo il potere di concedere o togliere la fiducia al governo mantiene una sua netta caratterizzazione, approva le leggi che costituiscono i binari su cui il governo deve muoversi e ne controlla comportamenti ed atti. Il governo a sua volta ha funzioni rilevanti perché dirige l’amministrazione pubblica e propone scelte al Parlamento. Infine il potere giudiziario. Per preservarne l’autonomia ci sono precise tutele costituzionali che gli altri poteri non possono invadere e ha la garanzia di sistemi di accesso attraverso concorsi liberi e verificabili.

I costituenti sono stati attenti a creare un equilibrio di poteri e di contrappesi per evitare che in futuro la libertà potesse di nuovo essere messa in discussione come è accaduto con il fascismo.

L’elezione da parte dei cittadini dei parlamentari, la conferma con il voto da parte del Parlamento della fiducia al governo nominato dal Presidente della Repubblica, che è il garante dell’equilibrio tra i poteri, l’accesso per concorso pubblico alla magistratura sulla base di requisiti stabiliti dalla legge, che ne prevede anche i comportamenti successivi a cui attenersi, è l’equilibrio dei poteri previsto dalla nostra Costituzione. Quando si interviene per modificare qualche aspetto del ruolo di questi pilastri dell’assetto democratico previsto dalla nostra Costituzione, nel caso del taglio dei parlamentari ci riferiamo al ruolo del Parlamento, occorre avere sempre presente che le conseguenze possono arrivare a squilibrare il sistema democratico, fino a farlo entrare in crisi.

Sondaggi recenti dicono che una quota rilevante di cittadini sarebbero favorevoli a ricorrere al ruolo del cosiddetto “uomo forte”, che accentra i poteri su di sé per risolvere i problemi. I problemi da risolvere certamente esistono ma non è con un accentramento di poteri che si possono risolvere. Tuttavia se questa deriva politica è cresciuta vuol dire che si è persa – almeno in parte – la consapevolezza sia di quanto sia costato all’Italia arrivare ad un sistema democratico compiuto, sia di quali pericoli si corrono quando attraverso la personalizzazione della politica si giunge a nuove forme di accentramento salvifico, o presunto tale, in poche mani e ancora peggio nelle mani di un uomo solo al comando, o donna – il discorso non cambierebbe.

Non sono stati forse chiesti da Salvini pieni poteri per decidere senza troppi intralci? Si tratta solo di facile demagogia che accompagna promesse a valanga? Sarebbe un errore sottovalutare queste pulsioni autoritarie, che in questa fase si intrecciano con risorgenti pulsioni neofasciste, razziste, antiebraiche. Non ci possiamo permettere di sottovalutare questi segnali perché sappiamo che hanno già portato lutti e dolori all’Italia. Questa che a qualcuno può sembrare una novità ha in realtà un sapore antico, di cose già viste e sgradevoli.

So bene che persone degne di stima, perfino amici, penseranno che queste preoccupazioni siano esagerate, che ridurre il numero dei parlamentari non porterà a queste conseguenze, anzi i più spericolati diranno che così il Parlamento potrebbe addirittura funzionare meglio. Premesso che quanti hanno cercato di capire come potrebbe funzionare un Senato di 200 componenti hanno toccato con mano difficoltà di non poco conto, che implicherebbero uno stravolgimento dell’attuale funzionamento, o per lo meno l’approvazione a tambur battente di un nuovo regolamento per l’Aula, per il quale di solito occorrono un paio di anni.

Ma la vera motivazione di chi propone la riduzione del 37% del Parlamento non riguarda il miglioramento del suo funzionamento, che sarebbe del resto impossibile con tale riforma, ma solo e soltanto il risparmio dei costi. Non a caso ogni confronto sul migliore o peggiore funzionamento del Parlamento è stato ignorato ed è stato inoltre gravemente sottovalutato il fatto che agli occhi dell’opinione pubblica il solo Parlamento viene presentato come responsabile del malfunzionamento di tutte le istituzioni del nostro Paese. In caso di approvazione della riforma, in sostanza, il Parlamento pagherebbe per conto di tutti: partiti, governo, altre istituzioni, ecc. Come potrà in questo modo essere migliorato, rilanciato e valorizzato il suo ruolo?

1) Le motivazioni del taglio dei parlamentari rivelano le pessime intenzioni dei proponenti

Vediamo anzitutto le motivazioni portate per il taglio del 37 % dei parlamentari. Essenzialmente sono legate al risparmio di soldi. Quindi il lavoro parlamentare è visto come uno spreco di risorse, una spesa inutile e per questo riducibile. Si dirà che si tratterebbe solo del 37 % di parlamentari in meno, è vero, per ora, ma cosa impedirà prossimamente alle tendenze più autoritarie di sostenere che il Parlamento è uno spreco di risorse in sé? E se queste tendenze diventassero maggioranza parlamentare in costanza delle attuali regole per modificare la Costituzione (articolo 138), che erano state immaginate dai Costituenti per un Parlamento eletto sostanzialmente con un sistema proporzionale ?

Sono evidenti le conseguenze negative di un’eventuale maggioranza in grado di modificare da sola la Costituzione.

Nel frattempo, Salvini e la destra stanno insistendo per andare ad elezioni anticipate. Anche perché nel 2022 ci sarà l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che – sia pure con poteri limitati – esercita un ruolo di equilibrio tra i poteri ed è titolare di alcune nomine dirette (nomina senatori a vita e giudici costituzionali, presiede il Consiglio superiore della magistratura, ecc). Finora, il Presidente della Repubblica non è mai stato il capo di una parte soltanto del nostro Paese. Finora.

In realtà tutta la discussione sulla riduzione dei parlamentari è stata affrontata sottovalutando colpevolmente – anche a sinistra – che il Parlamento è l’architrave del nostro sistema democratico e che – anche se apparentemente il taglio del 37 % appare come una modifica puntuale e precisa – non si può negare che con questa decisione la funzione del Parlamento così viene gravemente svalutata. Infatti il Parlamento viene presentato come una mera somma di poltrone, che quindi possono essere tagliate per risparmiare. Naturalmente ci sono anche responsabilità dei parlamentari perché i loro comportamenti spesso lasciano a desiderare per qualità e per scarsa coerenza. Troppe volte i parlamentari hanno subito imposizioni che potevano respingere, naturalmente correndo qualche rischio per il proprio futuro.

Resta il fatto che tagliare le poltrone è esattamente il contrario di quello che occorrerebbe fare. Si dovrebbe partire da un’analisi spietata delle ragioni che hanno portato il Parlamento a questa caduta drammatica di credibilità tra i cittadini ma per invertire la tendenza, per ridargli credibilità. L’obiettivo dovrebbe essere ricostruire la credibilità del Parlamento, rilanciandone la funzione centrale ed insostituibile di rappresentanza che dovrebbe svolgere.

Se il Parlamento funziona male la soluzione non è il taglio di una parte dei suoi componenti, dando l’impressione che siano “poltrone” inutili – mentre sono i rappresentanti di una parte del nostro Paese – che il loro lavoro sia almeno in parte superfluo. Come non ricordare la comparsata di Di Maio e dei dirigenti del M5s che in piazza Montecitorio, dopo l’approvazione alla Camera in quarta e ultima lettura della legge di revisione costituzionale, hanno schierato davanti a Montecitorio delle poltrone (di carta) e le hanno tagliate in segno di soppressione, di riduzione, di spregio. Anche senza attribuire a questa evidente mossa propagandistica, di cattivo gusto, significati ulteriori, già in sé manifestava un evidente disprezzo per il ruolo del Parlamento, o per lo meno una colpevole sottovalutazione.

Perché tanta veemenza non è stata impiegata nel tagliare i posti di governo? Perché non è stata detta la verità sulle responsabilità dei partiti, delle altre istituzioni della Repubblica? Perché solo il Parlamento è stato messo nel mirino?

Infatti, a parte il ridimensionamento del Parlamento gli altri livelli istituzionali e di responsabilità sono rimasti esattamente come prima. Perché tanta foga non è stata messa nell’ammettere onestamente, ad esempio, che se il Parlamento ha perso vigore, qualità, forza, credibilità presso gli elettori lo si deve ai partiti che sono oggi l’ombra di quello che furono, compreso il M5s che tante speranze aveva raccolto e oggi paga pesantemente una delusione di massa.

I partiti si sono trasformati ormai in partiti personali, fino al punto che Salvini decide di fare in prima persona la campagna elettorale in Umbria e poi in Emilia. Il capo della Lega, o «capitano» come si fa chiamare, forse per esorcizzare in anticipo appellativi più compromettenti con il passato, è il punto più alto raggiunto dalla deriva personalistica della politica italiana. Iniziata con il nome di Berlusconi sulla scheda, più di due decenni fa, senza che nessuno si opponesse con la forza che meritava questa scelta anticostituzionale e contro la legge elettorale vigente all’epoca. Infatti il nome scritto sulla scheda inganna perché può dare all’elettore l’impressione di votare direttamente per il Presidente del Consiglio che però nel nostro sistema non può essere eletto direttamente.

Ci sono persone in perfetta buona fede, talora amici di tante battaglie per i diritti, che questa volta sono perplessi, si chiedono e ci chiedono perché scaldarsi tanto per la riduzione dei parlamentari. In fondo i parlamentari con i loro comportamenti via via hanno contribuito ad affossare la credibilità del loro ruolo di rappresentanti della nazione, come recita la Costituzione all’articolo 67: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Un compito da fare tremare per la grande responsabilità che fa a pugni con quanto spesso accade e che non a caso si accompagna con l’attribuzione di una libertà di comportamento dei parlamentari nelle scelte delicate e di coscienza, che ha come presupposto una fiducia riposta in buone mani, quelle che appunto rappresentano la nazione.

Tagliare del 37% i parlamentari significa ledere pesantemente questa funzione, ridurla, farne inevitabilmente oggetto di scherno, del tipo “se ne può fare a meno”, “i parlamentari sono troppi”. Questo è uno svilimento del ruolo del Parlamento, che diventa in un sol colpo l’unico responsabile della frattura tra istituzioni e cittadini. La frattura esiste ed è grave, ma non esiste solo per responsabilità del Parlamento. Semmai oggi occorre un rilancio del ruolo del Parlamento, obiettivo che dovrebbe incontrare un impegno forte e corale per risalire la china, perché ormai anno dopo anno al Parlamento sono state sottratte funzioni, poteri, è stato reso in buona parte subalterno al governo, che invece dovrebbe attuarne gli indirizzi ed essere sotto il suo controllo.

2) Il referendum è una conseguenza del taglio del Parlamento

Non c’è ragione di non riconoscere la difficoltà di rispondere con un Sì o con un No ad una domanda che richiederebbe una risposta articolata, produttiva, ragionata, ma ormai non è possibile sottrarsi alla scelta tra il Sì e il No perché la decisione di tagliare i parlamentari del 37% è già stata presa dal Parlamento dopo ben quattro votazioni, cioè la ben nota doppia lettura del Senato e della Camera. Non votare No al referendum il 29 marzo automaticamente aiuterebbe chi ha voluto questa scelta, in un modo o nell’altro.

Le responsabilità a questo punto non sono sullo stesso piano. C’è chi ha voluto votare la scelta in Parlamento ad ogni costo e malgrado tentativi di fare arrivare proposte alternative, di sottolineare il pericolo traumatico di una simile decisione, ha preferito procedere comunque. Perfino il cambio di maggioranza dal governo Conte 1 al governo Conte 2 è diventato l’occasione per insistere su questo tasto grazie al capovolgimento di posizione delle sinistre che sono entrate nella nuova maggioranza e che prima avevano votato contro per tre volte. Senza neppure sentire l’esigenza di spiegare le ragioni di questo capovolgimento di posizione. Non era scontato che questo avvenisse, ma il cambiamento clamoroso di posizione ha dato via libera al taglio del Parlamento.

La decisione parlamentare c’è e potrebbe entrare in vigore: l’unico modo rimasto per fermarla – piaccia o non piaccia – è la vittoria del No al referendum costituzionale del prossimo 29 marzo. Altrimenti il taglio del Parlamento entrerà in vigore e avremo due camere ridotte di un terzo, risultato che inevitabilmente rilancia gli argomenti di alcuni che preferirebbero avere almeno una Camera intera anziché due mutilate, in modo da potere rappresentare al meglio il Paese.

In sostanza c’è un prima, il voto parlamentare, e c’è un dopo, il referendum, come unica via per ribaltare la decisione, nella speranza che quando si riparlerà del Parlamento il discorso sia maggiormente fondato e meno approssimativo, tenendo anche conto delle conseguenze su tutto il sistema istituzionale.

È falso dire che se viene bocciata questa proposta non cambierà più nulla. Premesso che è meglio nessun cambiamento che un cattivo cambiamento, evitare un cattivo cambiamento lascia impregiudicata la possibilità di affrontare la questione del ruolo e della funzionalità del Parlamento con la serietà che merita. Del resto la sconfitta nel 2016 della controriforma Renzi non ha impedito di arrivare a questo tentativo di taglio dei parlamentari, che solo la vittoria del No può fermare. Invece se passerà il taglio questa scelta diventerà definitiva per molto tempo.

La vera sostanza del quesito referendario è se sia giusto scaricare sul ruolo del Parlamento, riconquistato dopo la Liberazione dal nazifascismo, la responsabilità delle difficoltà della democrazia attuale o se invece non convenga fare perno proprio su un rilancio del ruolo del Parlamento per riaffermare il valore di una democrazia viva e più adeguata alle esigenze di un Paese in crisi economica e sociale ormai da quindici anni e che non ha ancora recuperato i livelli di prima della crisi. Naturalmente c’è anche bisogno di mettere al centro le riforme istituzionali che possono aiutare la crescita della rappresentanza sociale e associativa, che malgrado i suoi acciacchi continua ad essere un patrimonio decisivo per la nostra democrazia.

3)La Costituzione è ancora un bene comune o no?

Fu definita la Costituzione «più bella del mondo» e se lo è ancora oggi è perché il referendum del 4 dicembre 2016 ha bocciato le modifiche della Costituzione targate Renzi. Malgrado questo passaggio storico sono arrivate all’inizio della attuale legislatura diverse nuove proposte di modifica della Costituzione di cui francamente non si sentiva la necessità. C’è un virus che colpisce chi entra a palazzo Chigi?

La verità è che la fragilità politica dei governi spesso si scarica sulla Costituzione a cui vengono attribuiti difetti che sono tutti politici, di chi dovrebbe governare e non ci riesce come dovrebbe e quindi trova più comodo scaricare su presunti blocchi istituzionali le sue responsabilità.

Senza poi tacere delle ambizioni dei nuovi apprendisti costituenti, che farebbero bene a rileggere con attenzione la Costituzione italiana prima di avventurarsi in nuove modifiche e dovrebbero anzitutto tentare di imitarne la qualità, evitando di sostituire testi brevi, incisivi e chiari con testi lunghi e confusi, confondendo Costituzione e leggi ordinarie.

L’Italia è in recessione da 15 anni con brevi pause di impercettibile crescita. I governi dovrebbero dedicarsi ad affrontare questo grave problema per rimettere seriamente in moto il nostro Paese, mentre le difficoltà economiche si combinano con una crisi delle nascite che sta diventando un secondo fattore di grave instabilità per l’Italia.

Invece i governi pensano a modificare la Costituzione, quasi fossero in cerca di uno strumento di distrazione di massa. Le difficoltà nascono da qui, affrontiamole e andrà meglio. La Costituzione c’entra ben poco. Anzi modifiche come il taglio dei parlamentari rischiano di aprire la strada ad altri e ben più pesanti rivolgimenti del nostro assetto costituzionale.

La riduzione dei parlamentari è motivata solo con la diminuzione dei costi, mentre il punto principale dovrebbe essere il ruolo di rappresentanza delle elettrici e degli elettori che il Parlamento deve svolgere. Senza dimenticare che la maggioranza gialloverde ha la responsabilità di avere usato senza tregua decreti e voti di fiducia come i tanto criticati predecessori e perfino di avere costretto deputati e senatori a votare la legge di bilancio senza conoscerla e tanto meno poterla modificare. Il governo Conte 1 aveva aperto un aspro conflitto con la Commissione europea sulla legge di bilancio e all’improvviso ha deciso un repentino dietro front, cambiandola in profondità per adeguarla all’accordo con la Ue, costringendo il Parlamento a votare il nuovo testo concordato senza leggerlo né modificarlo, in pratica votandolo a scatola chiusa. Pure in quel caso, i parlamentari hanno subito il diktat del governo, perché in realtà sono sostanzialmente nominati dall’alto. Non rispondono del loro operato ai cittadini ma ai capi a cui debbono la loro elezione.

L’attuale governo Conte 2, dal canto suo, non ha cambiato granché nelle modalità di rapporto con il Parlamento. Anche l’ultima legge di bilancio è stata approvata nel vivo di un grave disagio parlamentare. Per questo la priorità da affrontare avrebbe dovuto essere semmai la legge elettorale, che dovrebbe essere rivoluzionata, restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento.

La riduzione del numero dei parlamentari avrebbe come conseguenza anche di alzare di molto la soglia per eleggere i parlamentari, facendo strage delle formazioni più piccole, lasciando milioni di elettori senza rappresentanti, riducendo insieme alla rappresentanza la qualità dei componenti del Parlamento.

4) L’autonomia regionale differenziata voluta dalla Lega può minare l’unità dell’Italia

Va sempre tenuto presente che la Lega preme per una versione dell’autonomia regionale differenziata che rischia seriamente di essere l’anticamera della secessione delle regioni più ricche, interpretando la nuova versione del Titolo V, approvato nel 2001, sulle regioni e sulle autonomie nel modo più estremo e peggiore possibile.

La Lega ha imposto alla maggioranza gialloverde, che sosteneva il governo Conte 1, di attuare una forma di decentramento di poteri e soldi dallo Stato alle Regioni che potrebbe arrivare a compromettere diritti costituzionali fondamentali come il diritto all’istruzione, alla salute, al lavoro, alla previdenza, alla tutela del territorio, ecc. Diritti che, al contrario, debbono essere uguali per tutti in Italia.

Un articolo del Sole 24 Ore ha fatto i conti e il risultato è stato illuminante. L’articolo analizzava i risultati dal punto di vista di chi come la Lega vuole un decentramento di poteri molto spinto, quasi secessionista e infatti ha calcolato in 10 miliardi di euro le minori risorse per la sola Lombardia a causa del blocco delle decisioni sull’autonomia differenziata causato dalla crisi del primo governo Conte, che ha provocato l’interruzione del percorso iniziato. Curioso che l’articolo abbia trascurato di ricordare che la responsabilità della fine del governo Conte 1 è tutta della Lega.

Tenendo conto che il vincolo posto dal ministero dell’Economia è l’invarianza complessiva della spesa, la domanda che sorge è: chi pagherebbe per queste risorse in più attribuite alle regioni più forti, Lombardia, Veneto, in parte Emilia Romagna ed altre a seguire? Ovviamente dovrebbero pagare le altre regioni, in particolare quelle più deboli, perché come diceva Totò è la somma che fa il totale, che in questo caso non può cambiare.

Abbiamo fatto bene ad avviare una decisa campagna contro…

La premessa di Alfero Grandi prosegue sul libro “La democrazia non è scontata”

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