L’autunno dei rinnovi contrattuali del 1972 si svolgeva in un anno assai complicato, con un Msi che alle elezioni politiche aveva sfiorato la doppia cifra, anche grazie a una rinverdita politica della forza ripresentata dai cuori neri con la strage di piazza Fontana, proseguita con quella di Peteano, con l’inframmezzo della rivolta dei Boia chi molla a Reggio Calabria. Quell’anno vide i metalmeccanici impegnati in iniziative anche a favore di un Sud dai molti problemi. Iniziative coagulatesi in una manifestazione da svolgersi a Reggio Calabria il 22 ottobre. I neofascisti cercarono di impedirla sabotando i treni con 8 attentati dinamitardi, ma 50mila operai riuscirono comunque a raggiungere Reggio Calabria con pullman, auto private, e perfino una imbarcazione.
Durante uno dei comizi, Pierre Carniti (Cisl) disse: «Quel treno che portava via gli emigranti, non volevano consentire che tornasse per farli partecipare a questa grande manifestazione. Siamo in presenza di una criminalità organizzata, che è anche indicativa, però, del suo isolamento. Si tratta di gente disperata, perché ha capito che l’iniziativa di lotta dei lavoratori, di questa stessa manifestazione sindacale, rappresenta un colpo durissimo. Ecco perché reagiscono con rabbia, reagiscono con disperazione. E oggi, come cinquant’anni fa, questa reazione conferma che il fascismo con il manganello e il tritolo è al servizio dei padroni e degli agrari contro i lavoratori e contro il proletariato. Ma dunque, compagni, debbono sapere che non siamo nel ’22 e che la classe operaia, le masse popolari, le forze politiche democratiche hanno la forza ed i mezzi per difendere le istituzioni democratiche dall’attacco e dall’aggressione fascista. E ciascuno farà la sua parte in questa direzione».
Quei disperati, insomma, non ce la facevano proprio ad accettare la crescita esponenziale di una coscienza di classe che si manifestava nelle fabbriche, nelle piazze, e l’ottobre di quel 1972 a essere messa al centro del cuore operaio fu Reggio Calabria, diventata dunque punto focale di un antifascismo militante che respingeva con la forza della democrazia il tentativo di tornare a un passato pre-sessantanove. La reazione alla crescita del movimento operaio che nel ’69 aveva vinto su tutti i fronti, era stata scomposta, fino all’inaugurazione della crudele stagione delle stragi con quella di piazza Fontana e, pochi mesi dopo, con la cosiddetta rivolta dei Boia chi molla di Ciccio Franco a Reggio Calabria. La neonata Italia delle Regioni aveva fatto sì che come capoluogo per la Calabria fosse designata la città di Catanzaro a dispetto di Reggio Calabria, dove i neofascisti montarono una protesta che degenerò in una vera e propria rivolta rabbiosa durata mesi e che provocò morti e feriti. Una rivolta che soffiò sul fuoco dell’antisindacalismo e di tutto quello che poteva essere ostativo nei confronti delle conquiste operaie. Stretto nella morsa fra un padronato agrario di stampo feudale e una classe politica asservita alle logiche mafiose da intreccio politico, il Sud doveva restare nella condizione di subalternità sociale ed economica funzionale a quello status quo.
La Calabria rimase per due anni, fino appunto a quella grande manifestazione dell’ottobre del 1972, in una sorta di perenne stadio d’assedio, considerando che i moti scoppiati nel luglio del 1970 proseguirono fino al febbraio successivo, quando sul lungomare di Reggio apparvero i carri armati mandati da Franco Restivo, ministro di lungo corso al ministero dell’Interno dal ’68 al ’72. Quel lungomare su cui, nel 2006, Giuseppe Scopelliti di Alleanza nazionale, sindaco di Reggio Calabria col sostegno di Forza Italia, farà erigere una stele in “onore” di Ciccio Franco, nonché accoppiare quel’uomo d’onore all’ex Arena dello Stretto, che da allora si chiama Anfiteatro Senatore Ciccio Franco. («I fatti di Reggio furono un’esperienza di popolo sintomatica, riferita a un periodo storico scandito da un particolare fermento e brillantemente guidato da Ciccio Franco», così un frammento dallo “storico” panegirico di Scopelliti in favore del senatore del Msi). Sì, perché alle elezioni del maggio del ’72, il capopolo dei Boia chi molla era stato premiato dai padri nobili della Meloni (ricordiamo a favore dei più giovani, la fascisteria di Almirante&C.) con un seggio al Senato nelle file del Msi (sempre a favore delle creature, progenitore degli attuali fratellini italici). Sospettato di essere fra i promotori delle azioni dinamitarde in sodalizio con la ‘ndrangheta che in Calabria – più che mai all’epoca – non faceva muovere foglia senza sua volontà, Ciccio Franco fu indagato senza arrivare a processo. Giovanna Marini scrisse una canzone a ricordo dei treni che nell’ottobre del ’72 dovettero dribblare le bombe neofasciste.
E alla sera Reggio era trasformata pareva una giornata di mercato quanti abbracci e quanta commozione gli operai hanno dato una dimostrazione.
Dopo la prova generale del 12 dicembre 1969, la fascisteria aveva deciso di utilizzare le bombe come sistema di lotta politica. Non a caso tutto il decennio dei Settanta sarà segnato da una serie di stragi comunque molto meno numerose di quelle evitate per impedimenti logistici, cattivi funzionamenti, delazioni. Per dire, fra maggio e settembre erano previste tre stragi: due (piazza Loggia a Brescia e l’Italicus a San Benedetto Val di Sambro) andarono a compimento, la terza no per una delazione, appunto. E la terza sarebbe stata quella di maggiore eco: una ribalta planetaria , come planetaria è la fama dell’Arena di Verona, tempio della lirica con La Scala di Milano.