Decine di migliaia di profughi fuggiti in Sudan, violenze, stupri etnici, saccheggi. Non si placa l’offensiva ordinata a inizio di novembre 2020 contro la regione del Tigray dal primo ministro etiope Abiy Ahmed. La drammatica richiesta di aiuto di un’attivista tigrina

Tzehainesc, in Italia da 40 anni, è una attivista storica giunta dal Tigray, o Tigrè, Nord dell’Etiopia, una regione che dal 4 novembre 2020 è in conflitto con le autorità centrali (v. Left del 6 dicembre 2020). Le notizie sono scarse anche perché ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie è impedito l’ingresso nel Paese e le testate tigrine sono state chiuse. «I tigrini della diaspora si stanno mobilitando in tutto il mondo per cercare di far intervenire la Corte internazionale di giustizia e per garantire sostegno a chi è dovuto fuggire in Sudan, agli sfollati, a chi sta subendo un tentativo di pulizia etnica», dice Tzehainesc (di cui omettiamo il nome completo per i rischi che corrono i familiari rimasti nel Tigray).

L’Etiopia è divisa come Repubblica federale in 10 Stati/regioni in cui convivono almeno 80 popolazioni con lingue diverse, per 20 anni è stata in conflitto con l’Eritrea, un tempo sua regione. Solo dopo il definivo riconoscimento dell’indipendenza, nel 2000 sono cessate le ostilità. Nel 2018 c’è stata la prima visita diplomatica in Eritrea, dell’attuale primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, a cui è stato conferito nel 2019, il Nobel per la pace. Una pace che nel Paese è sempre stata in bilico a causa di tensioni interne. La capitale Addis Abeba ha conosciuto un rapido sviluppo diventando meta di arrivo anche dall’Eritrea. Dopo l’impero di Hailè Selassié e il regime di Menghistu, dal 1991 il Paese è governato dal Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf) che riuniva le 4 principali componenti etniche. Dal 1995 al 2012 (quando morì a Bruxelles) è stato primo ministro Meles Zenawi, appartenente al Fronte di liberazione del Tigray (Tplf). Il nuovo primo ministro è invece di etnia oromo, maggioritaria in Etiopia ed è il primo di tale gruppo a ricoprire questo ruolo. Nell’ottobre del 2019, ci sono stati scontri interni dopo l’arresto dell’oppositore Jawar Mohammed, anch’egli oromo. Abiy Ahmed Ali ha reagito disponendo la trasformazione dell’Eprdf in un unico soggetto, il Partito della prosperità, a cui non ha aderito il Tplf.

Nello stesso periodo il governo ha annunciato libere elezioni, rinviate poi col pretesto dell’emergenza da Covid. «In realtà le elezioni si dovevano e potevano fare, la pandemia è esplosa dopo, ma il primo ministro aveva deciso che chi non faceva parte del suo nuovo partito era fuorilegge – racconta Tzehainesc – e le elezioni le abbiamo svolte a settembre, con una partecipazione del 96% degli aventi diritto. Un piccolo partito indipendentista ha ottenuto 2 dei 190 seggi, tanto è bastato per…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 febbraio 2021

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