In gran parte immigrate, hanno un ruolo chiave nella nostra società eppure sono vessate e sottopagate: assistono anziani o bambini e sono collaboratrici domestiche. A Milano si sono organizzate per riscrivere il contratto nazionale di lavoro. Per se stesse e le altre invisibili

Gisella ogni giorno si alza alle sette e mezza del mattino, prepara il bambino e lo accompagna a scuola. Rientra a casa e sveglia la nonna di ottanta anni che, instancabilmente, assiste ormai da tre anni. Fa i lavori di casa, prepara la colazione della nonna e si dedica a fare compagnia a quella signora anziana di cui è ormai diventata un punto fermo imprescindibile. Anno dopo anno Gisella svolge questa vita a Milano, dove è arrivata nell’ormai lontano 1992. Nata in Perù dove si era diplomata in ragioneria, lavorava al ministero dell’Interno per un stipendio irrisorio. Come molte persone è partita alla ricerca di un futuro migliore per sé e la sua famiglia. Il destino l’ha fatta approdare in Italia, dove, sola e non conoscendo la lingua, ha iniziato una “vita da irregolare” tra ansie e timori tipici di chi vive senza gli agognati documenti.

Gisella descrive quei giorni come «una malinconica prigione» provando un’enorme nostalgia per i propri cari rimasti in Perù. Nel corso degli anni ha preso coscienza dei propri diritti e ha iniziato un percorso sindacale per poter aiutare e sostenere tutte quelle donne che vivono in questo limbo privo di diritti. Con il sostegno di Confederazione unitaria di base immigrazione (Cub) crea con altre badanti un tavolo tecnico per riscrivere il contratto collettivo nazionale delle colf e badanti. Partendo dalle loro decennali esperienze nel mondo della cura, queste donne intendono rivendicare per le loro colleghe un miglior trattamento salariale, l’aumento del periodo di maternità, la retribuzione dei permessi, un preavviso di licenziamento più lungo rispetto a quello attuale di una sola settimana, e dignità.

Il valore del lavoro di cura sottopagato svolto per la stragrande maggioranza da donne (80,7%) e, in particolare, da donne povere e migranti (70,3%) è giunto a valere nel mondo 10,8 trilioni di dollari, ovvero tre volte tanto l’intero settore tecnologico mondiale. Questo lavoro sorregge la società ed è un sostegno per la crescita dei bambini, è alla base della sopravvivenza degli anziani e delle persone con disabilità. Rappresenta un mestiere faticoso, spesso invisibile, che viene delegato alle donne anche per un pregiudizio (la nostra supposta maggiore propensione biologica per il lavoro di cura e di pulizia) oltreché per la facilità con cui la società sfrutta il genere femminile.

Quello del lavoro domestico e di cura è tra i…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 febbraio 2021

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