È durata poco la sverniciata di blu che Matteo Salvini si era dato nelle settimane scorse, dicendosi disposto ad accettare l’adozione della legislazione europea sui migranti. Dal doppio petto è presto rispuntata la felpa di CasaPound.
E dunque eccoci qui di nuovo a contrastare le politiche xenofobe di Salvini e i suoi attacchi alle Ong ree di salvare vite umane. Uscito dalla porta grazie al governo Conte due sostenuto dall’alleanza M5s-Pd, il Nostro è rientrato dalla finestra del governo Draghi ricavando per la Lega importanti ruoli chiave. Un film già visto che ci riporta alla mente tante copertine di Left che gridavano “Not in my name”, che denunciavano il suo essere forte con i deboli, il suo flirtare con gruppi di estrema destra che si auto definiscono fascisti del nuovo millennio, il suo baciare il rosario e, con il senatore Pillon, intimare alle donne di tornare a casa a fare figli, in nome della famiglia “naturale”, del contrasto alla denatalità.
Fin da quando furono varati abbiamo dato fiera e strenua battaglia ai decreti Salvini, basati sulla falsa narrazione xenofoba e paranoica che paventava un’invasione di immigrati che in Italia non c’è mai stata. Abbiamo contrastato politicamente il suo invocare la chiusura dei porti denunciando l’inaccettabile violazione di diritti umani, della Costituzione che all’articolo 10 tutela il diritto d’asilo, dei trattati internazionali e della millenaria legge del mare. Lo abbiamo fatto con la forza delle idee e di una visione lunga che ha radici nella storia profonda della nostra specie umana che si è evoluta proprio grazie al rapporto con il diverso di sé, mettendosi in cammino non solo per bisogno, ma per desiderio di conoscenza. Abbiamo dato battaglia con gli strumenti che ci offrono la storia e la cultura e ora, grazie al governo Draghi, ci ritroviamo non solo il leghista Nicola Molteni, fiero sostenitore dei decreti salviniani nel ruolo di sotto segretario agli Interni, ma anche la leghista Lucia Borgonzoni come sottosegretaria alla Cultura, ovvero colei che si è vantata di non leggere libri.
E allora ripartiamo da qui, da tutto quello che negli anni abbiamo rifiutato e combattuto: la deriva sovranista e xenofoba imposta da Salvini, la barbarie di politiche liberiste che hanno aumentato le disuguaglianze che hanno indebolito i diritti, a cominciare da quello alla salute. Nel frattempo la pandemia, dolorosamente, ha mostrato a tutti quanto sia criminale la ricetta liberista della aziendalizzazione della sanità che tratta la salute come merce. Ha reso macroscopicamente evidente quanto l’ottica del nazionalismo egoista sia miope e fallimentare per uscire dalla crisi sanitaria ed economica. In un momento così grave e importante della storia mondiale ci dobbiamo gettare a capofitto nell’impresa di ricostruire il Paese. Abbiamo la possibilità di farlo anche spendendo bene i 209 miliardi del Recovery fund. Ma non ci fa dormire sonni tranquilli che proprio in uno dei ministeri chiave, quello dello Sviluppo sia stato chiamato il leghista Giancarlo Giorgetti, l’affossatore della medicina territoriale, nonché relatore della antiscientifica e misogina Legge 40. Di tutto questo dobbiamo ringraziare, in primis, chi ha acceso la miccia della crisi di governo, ovvero Matteo Renzi, l’ex presidente del Consiglio e senatore che fa conferenze prezzolate alla corte sanguinaria e fondamentalista del principe Bin Salman che nega l’identità e la vita sociale delle donne, che bombarda i civili yemeniti, che ha responsabilità conclamate nell’uccisione del giornalista Khashoggi, scomodo per il regime. I due Matteo sono tornati a fare gioco di sponda, a darsi mano, riallacciando i fili un’alleanza lunghissima e forse mai venuta meno, favorita dalla mediazione di Denis Verdini, lo stesso che condusse Renzi ad Arcore da Berlusconi. Nel frattempo Verdini è stato condannato al carcere ed è ai domiciliari per il rischio di Covid che attanaglia i penitenziari. Speriamo che il provvedimento di civiltà che è stato messo in atto per lui possa essere esteso anche ad altri detenuti.
Rivolgiamo questa richiesta alla neo ministra Marta Cartabia che nei giorni scorsi ha incontrato i vertici del Dap per sostenere la campagna vaccinazioni di detenuti e personale. Per quanto estremamente distante dalle nostre posizioni per ciò che in passato ha detto sull’aborto abbiamo apprezzato che l’ex presidente della Consulta si è dimostrata sensibile verso irrimandabili provvedimenti di civiltà riguardo alla difesa dei diritti umani in carcere. Ma la questione della laicità resta un tasto debole del governo Draghi, benedetto dai vertici della Chiesa e in cui abbondano esponenti vicini a Comunione e liberazione e alle gerarchie ecclesiastiche. Avvicinandoci all’8 marzo (che noi di Left ricordiamo tutto l’anno) non possiamo non tornare a interrogarci sui diritti negati delle donne, sulla disapplicazione della legge 194, a causa dell’alto numero di obiettori. Non possiamo che tornare a incalzare il governo, come abbiamo fatto con tutti quelli precedenti, tornando ad analizzare un’emergenza strutturale come quella dei femminicidi e più in generale della violenza sulle donne in Italia. Su questo numero accendiamo i riflettori anche sulla piaga delle molestie e degli abusi che le donne subiscono sul lavoro. Lo facciamo dialogando con la segretaria della Fp Cgil Serena Sorrentino e con inchieste sulle condizioni di lavoro delle donne in Europa, convinti che investire sulle donne, implementare l’occupazione femminile e sostenerne l’autonomia e riconoscerne l’identità sia la strada per innescare quel cambiamento culturale che è essenziale per uscire dalla crisi e per costruire un futuro giù giusto, più inclusivo e più umano.
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