«Parliamo di vita, non di fantasia». Così Salvini ha liquidato nei giorni scorsi l’ipotesi di un ingresso della Lega nel Partito popolare europeo. Un’eventualità bollata come remota pure da fonti interne alla delegazione italiana dei popolari all’Europarlamento, interrogate da Left. Sta di fatto, però, che voci di corridoio che corrono nella direzione opposta continuano a rimbalzare. Ad innescarle è stata la giravolta europeista maturata dal segretario del Carroccio. Un passaggio pressoché obbligato per poter aderire alla proposta di Draghi e incassare ministeri e sottosegretari, non privo di effetti collaterali a latitudini più elevate.
A Bruxelles, infatti, la posizione della Lega nel partito Identità e democrazia, contenitore politico degli euroscettici di estrema destra, si è fatta scomoda. Gli azionisti di maggioranza del partito – assieme i leghisti, il Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland – hanno reagito con disappunto all’abbraccio di Salvini con l’ex governatore della Bce, salvatore dell’Euro e simbolo della burocrazia economica continentale. «È un brutto scherzo», aveva commentato a inizio febbraio Jörg Meuthen, vicepresidente del gruppo Identità e democrazia. Di lì a poco, la forza che ne esprime la presidenza, la Lega, avrebbe orchestrato ai propri sodali una beffa ancora più grande: il semaforo verde al Recovery fund, acceso in dissenso rispetto ai nazionalisti. Ossia la premessa, a detta di molti, per un possibile trasloco nel Ppe. Un’operazione che potrebbe sconvolgere gli equilibri della politica italiana ed europea per come li conosciamo.
Ma andiamo per gradi. Per quale motivo l’ex ministro in felpa e i colleghi incamerati nel suo partito potrebbero intraprendere tale conversione blu? Primo. Per prassi, attorno ai gruppi di estrema destra all’Europarlamento è sempre stato…
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