A 71 anni dalla morte dello scrittore britannico le sue opere sono di pubblico dominio e tanti editori in Italia hanno pubblicato nuove traduzioni dei suoi libri: soprattutto due, “1984” e “Animal Farm”. Pochi invece i progetti più ampi che raccolgano più opere o diano voce anche a quelle meno conosciute. Tra questi, il volume “I capolavori” (I Mammut Gold, Newton Compton), con opere tradotte e curate da Enrico Terrinoni, Andrea Binelli, Francesco Laurenti e Fabio Morotti. Ne parlano i curatori

Perché rileggere, e perché ritradurre Orwell oggi?
Enrico Terrinoni: In primis, perché la lettura è una pratica di interpretazione infinita. Non che abbiamo la libertà di vedere quel che ci pare per pura ossessione libertaria. L’interpretazione ha le sue regole e i suoi paletti. Ma la catena delle letture produce sempre cambiamenti nella percezione degli oggetti culturali, e conoscere le condizioni di nascita di un testo è fondamentale ma non sufficiente a interpretarlo. Un testo cambia quando entra nelle nostre teste, e ho l’impressione che la percezione generale di Orwell sia rimasta un po’ statica. Da un lato è stato semplificato e ridotto a una formula secca per via delle due opere ritenute principali; dall’altro, sempre per via di quelle, è stato tirato per la giacchetta strumentalmente. Rileggerlo oggi significa sperare di vedervi qualcosa di nuovo; ma per farlo servono sia nuovi occhi che nuovi oggetti da guardare. Vanno “ri-viste” le sue avventure e incursioni, che per qualcuno conservano qualcosa di profetico.

Andrea Binelli: A interrogarci ancora oggi sono le sue generose incursioni, vuoi di respiro documentario, etnografico o fittizio, in territori controversi quali la povertà e la destituzione, le relazioni sociali e identitarie al reagente della retorica imperialista, la nostalgia e le illusioni della pubblicità, l’idea di verità e la propaganda. Queste esplorazioni proseguono la tradizione censoria inglese -il modello resta la puntualità asciutta di Swift – e la corredano degli sviluppi modernisti eludendone le aporie ed evitando di affondare nella palude della de-responsabilizzazione. Orwell indica una via nella misura in cui riesce a declinare in ambiti distanti una critica etica leggera ma sempre in grado di sovvertire le induzioni della falsa coscienza. In tal modo, ha saputo raccontare l’autocompatimento torbido e le proiezioni frustrate con cui reagiamo all’inadeguatezza del criterio liberista per cui gli individui sono valorizzati e godono di libertà in ragione di ciò che possiedono.

Francesco Laurenti: Anche per questo è facile vedere in Orwell un profeta; perché, in parte, un profeta lo è stato. Ma proprio in virtù di quest’aura di cui lo si investe, si corre rischio che il suo messaggio venga in parte “sepolto”. Orwell è stato un intellettuale coraggioso perché onesto; e se, come credeva, «in un momento di inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario», fu anche un grande rivoluzionario. Il suo insegnamento oggi può assumere il…


L’articolo prosegue su Left del 2-8 aprile 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO