Mentre la pandemia genera l’ennesima crisi acuendo le differenze fra ricchezza e povertà, si ridisegnano silenziosamente gli equilibri di alcuni settori strategici. Il capitale domina l’offerta di lavoro in eccedenza che aumenta ed aumenterà per una combinazione di molteplici cause fra cui i cambiamenti tecnologici che aumentano sì la produttività del lavoro ma anche i licenziamenti e anche per una massa di persone che ancora non sono assoggettate al lavoro salariale in particolare del continente africano, ma anche asiatico e in parte sud americano.
La cooperazione sociale è dentro questa instabilità e sta, parafrasando il sociologo Harvey, riplasmando e reingegnerizzando se stessa. Le cooperative hanno iniziato da anni una trasformazione da luoghi familiari che occupavano nicchie di domande sociali senza risposta, ad imprese che grazie anche all’ultima riforma del terzo settore hanno trovato le condizioni per inglobare pezzi fondamentali del nostro welfare diventando imprese da migliaia di dipendenti sempre alla ricerca di forza lavoro a basso costo.
La cessione sempre più accentuata di interi settori a carattere pubblico, da quello della cura all’educazione, per non parlare dell’immigrazione, in anni di crisi economica dove la differenza nella gestione di molti servizi la fa esclusivamente il salario (da fame cit.) e con una notevole disponibilità di forza lavoro ricattabile, stanno creando un irrigidimento da parte del mondo cooperativo nei rapporti con i propri lavoratori e lavoratrici.
Sono evidenti i dati degli Osservatori provinciali sulla cooperazione dove i sindacati registrano la scarsa applicazione dei contratti collettivi che alcuni disdettano di fatto, l’aumento della percentuale di lavoratori e lavoratrici irregolari. Più i contesti si opacizzano, più si può agire indisturbati sul cambiamento ad esempio con l’introduzione di applicazioni per tracciare i dipendenti in contesti nei quali non ce n’è alcuno oggettivo bisogno, con la richiesta sempre maggiore di apporti di lavoro volontario a qualsiasi ora di giorno o notte senza che questo sia remunerato in alcun modo.
Fornire al capitale incentivi fiscali per il reinvestimento, può creare posti di lavoro come eliminarne, basti pensare ad un lavoratore licenziato per ragioni tecnologiche ed a un neoassunto perché appartenente ad una particolare categoria soggetta ad incentivi. Il capitale ha interesse sia alla produzione di disoccupazione che alla creazione di posti lavoro, gestire questo equilibrio, gestire la propria domanda di lavoro dà un potere enorme alle imprese tutte.
Il risultato sono lavoratori e le lavoratrici sempre più senza scelta e soli. Negli anni soprattutto per i giovani il messaggio culturale dell’inutilità o obsolescenza dei così detti corpi intermedi ha pagato. Per la maggioranza degli under 30 la funzione sindacale è quasi sconosciuta tanto è stata disincentivata. Da qui bisogna ripartire.
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L’autore: Jacopo Landi lavora sul tema immigrazione dal 2006. Ha avuto esperienze in progetti di cooperazione internazionale ed è attivista in associazioni, campagne sociali e reti nazionali sui diritti degli immigrati