La situazione delle amministrative a Roma può ben illustrare, con la valenza nazionale che rappresenta, lo sfascio in cui si dibatte tutto il centrosinistra, risultando impossibile scegliere da chi farsi rappresentare, e votare, come in una democrazia rappresentativa dovrebbe essere.
Da un lato si ha un Pd che concepisce il tavolo del centro sinistra non già come luogo di incontro e confronto tra possibili alleati, dove ricercare un programma comune, un progetto, un’idea, ma come rituale e mal sopportato passaggio in cui dettare le proprie scelte, tempi e metodi, cui si può solo assentire: le primarie, che solo il suo statuto prevede (sempre sovvertibili da un notaio), sospensioni in attesa di risolvere i propri equilibri interni, il rilancio con l’opzione Zingaretti, nel qual caso Primarie pro-forma, quindi retromarcia, senza l’accordo con i 5S, per cui si torna a Gualtieri. Insomma una concezione ancillare degli alleati, semplici vassalli al cospetto del Re. Primarie foglia di fico di manovre di corridoio da millantare come partecipazione popolare.
D’altro lato una variegata sinistra, che tanto per cambiare si presenta divisa, subalterna, senza visione, idee, uomini, prona alle volontà del Capo, accattona, che rinuncia ad una propria autonomia di pensiero, ad una propria identità, disposta a dare un appoggio in cambio al più di qualche consulenza dorata. Soggetti che propongono niente di meno di ripescare Leu, pur essendo tra quelli che più ostinatamente ne hanno decretato la fine, con a suggerirlo gli stessi affossatori, buoni per ogni stagione e sapendo che si è ancora più distanti dell’epoca: chi al governo con Draghi, chi all’opposizione.
Altri che pensano, comprensibilmente, di capitalizzare la propria opposizione al governo Draghi, con, anche qui, gli stessi identici nomi delle fallimentari esperienze precedenti. E ancora quelli che si rifanno alle esperienze “civiche”, che in questo quadro, pur lodevoli e meritevoli, non essendo legate da un progetto complessivo, si risolvono in supplenza, in pratica caritatevole, e che, non a caso, fin dal nascere si pongono culturalmente del tutto interne alle logiche del Pd (Liberare Roma: «Le Primarie come proprio sistema valoriale»).
E quindi un fiorire delle più diverse ipotesi: una lista sul modello Emilia Romagna Coraggiosa o sul tipo toscano di Sinistra Civica Ecologista. Ci si dibatte tra subalternità o accettazione di una retorica, cultura, logica distruttive, proprie della dottrina veltroniana in cui, lì si, hanno senso le Primarie, strumento della “vocazione maggioritaria”, del voto utile, che è servito per marginalizzare le forze a sinistra del Pd, partecipe della cultura del partito del leader. Se questa è la situazione, quale soggetto è rappresentativo per evitare che, a sinistra, ci si rifugi tra le fila degli astensionisti? Mi si dirà che così vince la destra. Ed è possibile. Ma io credo che se si lavora tenacemente, ostinatamente, pervicacemente per allontanare la gente, e i militanti in particolare, la colpa non è di chi sfinito cede, ma di chi ha allontanato. Temo purtroppo che quindi, per arrestare questo meritato declino, bisogna passare necessariamente attraverso la sconfitta di tali pratiche, tali “culture”, tali metodi, e perciò anche attraverso la sconfitta elettorale, condizione minima se pure non sufficiente. Per una sinistra rinunciataria, meglio perdere le elezioni che l’anima.
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L’autore: Lionello Fittante è tra i promotori degli Autoconvocati di Leu,
ed ex componente del Comitato nazionale èViva!
Nella foto Roberto Gualtieri, Pd