Un giovane senegalese raggiunge la riva dopo una disperata traversata verso la costa spagnola. Sulla battigia scoppia a piangere. Lei, una coetanea spagnola stagista della Croce Rossa, gli dà un po’ d’acqua e, non potendo fare altro, semplicemente l’abbraccia. Il gesto più naturale del mondo.
Eppure per quel gesto umanissimo Luna Reyes, questo il suo nome, è stata riempita di insulti, violenti, osceni, infami. Nonostante le ricerche non siamo riusciti a trovare traccia, nelle cronache e altrove, del nome del ragazzo. Anche questo la dice lunga.
(Dopo essere andati in stampa abbiamo saputo che il ragazzo si chiama Abdou e ha 27 anni, lo ha scoperto una testata giornalistica spagnola. Abdou è stato rispedito in Marocco dalle autorità di Ceuta, ndr).
Nonostante gli insulti, la foto, per fortuna, ha circolato moltissimo diventando una immagine simbolo. Anche per questo l’abbiamo scelta come copertina di questo numero di Left in cui, nuovamente, torniamo ad occuparci di migrazione.
È un’immagine che ci parla di vita, di speranza, della migliore gioventù, libera da pregiudizi, che non resta indifferente, che rifiuta la disumanità di barriere, muri, respingimenti.
Come quel filo spinato di divieti, lungo molti anni, che impedisce ai migranti l’approdo in Spagna, respingendo chi arriva attraverso Ceuta e Melilla, due enclave spagnole situate nella costa nord del Marocco eredità antistorica del passato coloniale. Lungo quel confine da tempo è schierata la Guardia civil, segnale che la Spagna (come del resto gran parte dei Paesi europei) tratta la migrazione, fenomeno sociale inarrestabile, come un problema di ordine pubblico, negando i diritti umani.
Indebolito anche dalla batosta politica presa dal leader di Podemos, Pablo Iglesias, a Madrid dove purtroppo ha vinto la destra, il governo spagnolo ha adottato il pugno duro.
Il primo ministro socialista, Pedro Sánchez, non è il primo leader progressista a sconfessare gli ideali di sinistra respingendo chi arriva in cerca di un futuro migliore scappando da guerre, persecuzioni, emergenze climatiche e povertà. Peggio di lui aveva fatto nel 2005 il socialista Luis Zapatero. Ma certo questo non consola. Anzi.
Come ci ricorda Marina Turi con il suo reportage è già sbiadito il ricordo di quando Sánchez, nel 2018, accoglieva la nave Aquarius della Ong Sos Mediterranee con a bordo 629 migranti, mentre Salvini brandiva l’ascia dei porti chiusi contro persone inermi e bisognose di aiuto.
Come abbiamo osservato in Italia all’epoca dei governi Renzi e Gentiloni rincorrere le destre sul loro terreno per tentare di fermare un fenomeno complesso ed epocale come quello dell’immigrazione significa prendere una china inaccettabile di negazione dei diritti umani e per il centrosinistra anche fortemente autodistruttiva.
Il centrosinistra ha perduto ogni credibilità progressista quando Marco Minniti da ministro dell’Interno ha avviato la “criminalizzazione” delle Ong e il processo di screditamento del modello di accoglienza realizzato a Riace da Mimmo Lucano; accanimento politico che ancora continua da parte della procura di Locri, come riporta qui Mimmo Rizzuti.
Per quanto tutti i processi a carico di Ong intentati in Italia siano fin qui terminati senza condanne (compreso quello contro la capitana di Sea watch Carola Rackete), per quanto i decreti Salvini siano stati in parte modificati recependo i rilievi del presidente Mattarella, i fermi amministrativi a cui sono sottoposte le navi Ong ne impediscono comunque l’attività, come ci ricordano Giulio Cavalli e Giorgia Linardi di Sea watch.
E intanto in mare si continua a morire, come testimoniano le agghiaccianti foto di bambini che abbiamo visto nei giorni scorsi. E si muore lungo la rotta balcanica dove i migranti vengono picchiati e respinti dalla polizia croata. Si muore nei lager libici dove i naufraghi vengono riportati dalla guardia costiera che noi foraggiamo lautamente. Mario Draghi ha persino plaudito pubblicamente al loro buon servizio.
Il 25 maggio il premier è andato a Bruxelles per sollevare la questione almeno di una redistribuzione dei migranti in Europa ma ha fatto un buco nell’acqua, non c’è stata nemmeno discussione, tutto è rimandato al Consiglio che si terrà a fine giugno.
Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla violenta ipocrisia di un’Europa arroccata su se stessa, disposta a pagare regimi autoritari e clan di ogni tipo perché trattengano i migranti sull’altra sponda del Mediterraneo; persone che poi vengono usate alla stregua di merce di scambio e strumento di pressione come ha fatto il governo marocchino a Ceuta. Come ha fatto più volte il governo turco guidato da Erdoğan.
Nelle settimane scorse la commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson è andata in Tunisia con la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per fare ulteriori accordi di contenimento dei flussi, per concordare respingimenti e rimpatri. Nessun provvedimento solidale e costruttivo sarà preso prima dell’estate. Nessuna revisione degli accordi di Dublino è all’orizzonte. Nessun piano di corridoi umanitari.
I Paesi di Visegrád alzano i soliti muri. E intanto incombe la spada di Damocle del patto per la migrazione annunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Layen lo scorso settembre. Tra le proposte sul tavolo, come ha ricostruito l’inchiesta di Leonardo Filippi, c’è anche quella di esternalizzare ulteriormente le frontiere con un sistema di hotspot per fare screening dei migranti in barriera, concedendo a persone estremamente vulnerabili solo pochi giorni per presentare l’eventuale domanda di protezione.
Un meccanismo che svuota del tutto il diritto di asilo come hanno denunciato gli avvocati di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Di fronte a questo scenario di desertificazione dei diritti umani i politici di destra – da Salvini a Meloni – a reti unificate tornano a sventolare la bandiera di una invasione che non c’è.
Blaterano di difesa della sicurezza nazionale. Da chi sarebbe messa a rischio? Da invasori come quel neonato salvato da un militare della Guardia civil che abbiamo visto in una toccante foto?
Ancora una volta le destre vanno a caccia di un capro espiatorio cercando di occultare la sicurezza che davvero manca in Italia, quella sui posti di lavoro, quella sulle reti di trasporto. Nonostante la recente strage in funivia, nonostante il crollo del ponte Morandi, le destre di lotta e di governo invocano la cancellazione del codice degli appalti, la liberalizzazione dei subappalti, il ritorno delle gare al massimo ribasso per velocizzare i cantieri di grandi opere, mettendo a rischio la vita dei lavoratori, aprendo le gare alla possibilità di infiltrazioni mafiose.
Rischi per altro già paventati da Raffaele Cantone, ex presidente dell’Anac. Quella del Recovery plan doveva essere la grande occasione per ammodernare il Paese, per mettere in sicurezza il territorio creando posti di lavoro e invece per la gestione che intende farne il governo Draghi dando ascolto a Salvini, rischia di riportarci direttamente agli anni Cinquanta.
Perfino gli Usa di Biden, come nota nella sua analisi Natale Cuccurese, sono più progressisti dell’Italia del governo dei migliori. Basta pensare ai 2.300 miliardi di dollari stanziati dal presidente nordamericano per un piano infrastrutture, ai 200 miliardi stanziati per gli asili, agli investimenti per corsi universitari biennali gratuiti e borse di studio pagati con una forma di patrimoniale.
Parola che nell’Italia di Draghi neanche si può pronunciare. Così come non si può dire che per far ripartire il Paese occorre sbloccare gli investimenti, non i licenziamenti. Ma noi non ci facciamo mettere il bavaglio. Nemmeno dai (cosiddetti) migliori.
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