Mentre attende fiducioso la conclusione del processo di Locri, l’ex sindaco di Riace ha deciso di impegnarsi nelle elezioni regionali della Calabria, con una sua lista a sostegno di Luigi de Magistris candidato presidente

Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, presunti illeciti nella gestione di un sistema di accoglienza diventato paradigmatico nel mondo: erano le accuse sulle quali nel 2016 si era fondato il processo “Xenia”, intentato dalla procura di Locri nei confronti dell’allora sindaco di Riace Mimmo Lucano ed il sistema di accoglienza da lui messo in piedi a partire dalla fine degli anni 90. Questa stessa montagna di accuse, senza che cinque anni di inchieste e due di processo riuscissero a suffragarle con uno straccio di prova attendibile, è stata riproposta in maniera inaudita ed inquietante dal Pubblico ministero della Procura di Locri, Michele Permunian, con la richiesta per Lucano di 7 anni e 11 mesi di carcere. L’inquietudine e lo sbigottimento che questa richiesta ha generato in tanti spiriti liberi del Paese derivano dal fatto che questo inverosimile castello era già stato demolito dalle fondamenta da altre importanti articolazioni del nostro sistema giudiziario.

Per memoria e per capire è utile, comunque, ripercorrere la sequenza dei fatti. Il 2 ottobre 2018 Mimmo Lucano viene arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Locri. Una misura revocata il 17 ottobre successivo dallo stesso Giudice per le indagini preliminari, che demoliva l’impianto accusatorio, riducendo solo a due i capi d’imputazione (favoreggiamento immigrazione clandestina e irregolarità in due appalti di 50mila euro concessi con la procedura di assegnazione diretta a due cooperative di giovani immigrati e riacesi che operavano nella raccolta della spazzatura e nell’igiene urbana). Questo ufficio, però, trasformava, inspiegabilmente, gli arresti domiciliari in un divieto di dimora, che durerà ben 11 lunghi mesi.

Il 3 aprile 2019, nondimeno, la Corte di Cassazione faceva ulteriore chiarezza in merito alle accuse, rilevando che in assenza di indizi di “comportamenti” fraudolenti che Domenico Lucano avrebbe «materialmente posto in essere» per assegnare alcuni appalti senza rispettare le procedure corrette, andava rimosso il divieto di dimora. Il 5 settembre 2019 il Tribunale revocava, finalmente, il divieto di dimora, dopo altri 5 lunghi mesi ed una serie di dure e dolorose, note, vicende politiche ed umane che Mimmo Lucano ha dovuto suo malgrado sopportare. Intanto, rispettivamente il 21 maggio 2019 e il 7 giugno 2020 il Tar della Calabria e il Consiglio di Stato dichiaravano illegittima la chiusura dello Sprar di Riace. E il 7 luglio 2020 i giudici del riesame di Reggio Calabria rigettavano l’appello del Pm di Locri che chiedeva il mantenimento delle misure cautelari, definendo «inconsistente» e privo di « riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di procura» il quadro giudiziario che le motivava, in quanto fondato su «elementi congetturali o presuntivi». Non solo. I giudici del riesame valutavano l’inattendibilità di…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

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