Breve riassunto di questi ultimi giorni.
Dalle parole degli arrestati si viene a sapere che i freni della funivia Stresa-Mottarone che ha portato alla morte di 14 persone sono stati consapevolmente manomessi per una questione di soldi. I gestori hanno spiegato agli inquirenti che oltre al danno economico del lockdown non volevano perdere anche l’incasso della domenica. In carcere ora si trovano il titolare della funivia Luigi Nerini, il direttore del servizio e il capo operativo. Il reato contestato? «Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, dal quale sarebbe derivato il disastro» ha spiegato il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini nell’informativa urgente alla Camera.
A Brescia un’azienda (la Wte) avrebbe mosso l’equivalente di 5mila tir di fanghi tossici che sono stati smaltiti nei campi del nord Italia: 150mila tonnellate di fanghi tossici, contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altri veleni (spacciati per fertilizzanti e smaltiti su 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. «Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente» diceva Antonio Maria Carucci, laureato in Scienze geologiche e a libro paga della Wte, al telefono con Simone Bianchini, un contoterzista che quei fanghi li spandeva nei campi della bassa bresciana. «Sono un mentitore!… Io…finisco all’inferno» dice ridendo in modo spregiudicato sempre Carucci al telefono con Ottavia Ferri, dipendente della Wte, che replica, anche lei ridendo: «Lo facciamo per il bene dell’azienda!». Si ipotizzano profitti illeciti per 12 milioni di euro.
A Sabaudia è stato arrestato un medico che avrebbe prescritto stupefacenti contenenti ossicodone, un oppioide agonista puro che ha un potere simile alla morfina, per permettere ai lavoratori indiani di resistere alla fatica dello sfruttamento e lavorare nei campi 12/16 ore al giorno. Ci sarebbero anche alcuni morti per overdose.
Intanto le indagini sulla morte di Luana d’Orazio – l’operaia tessile di 23 anni morta il 3 maggio scorso in una fabbrica a Montemurlo in provincia di Prato – hanno scoperto che l’orditoio su cui lavorava era stato manomesso per disattivare meccanismi di sicurezza e si continua a indagare sulla posizione contrattuale dell’operaia.
Sono solo gli episodi degli ultimi giorni ma gli esempi sono moltissimi. Francesco Costa aggiunge un’altra osservazione: «Qual è la differenza tra chi ha tolto il freno di una funivia pur di lavorare e chi ha tenuto il ristorante aperto quando era vietato, nonostante la certezza di provocare contagi e morti? Certo, morti forse meno cruente e visibili: ma morti. Questa cultura è ovunque intorno a noi». Volendo vedere ci sono anche i 43 morti per un ponte caduto, giusto tre anni, sempre per soldi.
Eppure ogni volta che si prova ad aprire un dibattito sul serio problema di “cultura d’impresa” di molti imprenditori italiani accade il finimondo: una mancanza di etica, di responsabilità e di legalità che ogni volta viene relegata a “episodi singoli”. Nel Paese in cui si generalizza in scioltezza sui dipendenti pubblici, sugli insegnanti, sugli operai tutti invidiosi, sugli impiegati tutti nulla facenti, sui giovani tutti sfaticati, sui calciatori, sugli artisti tutti furbi, sui giornalisti tutti servi, sui politici tutti corrotti e così via ogni volta che qualcuno si permette anche solo di pronunciare la parola “imprenditori” si leva lo sdegno della categoria. Una reazione tipo? Guido Crosetto, l’uomo di destra che piace tanto a sinistra, scrive rispondendo a Marta Fana: «Sta usando questa tragedia per dire che tutte le imprese e tutti gli imprenditori sono così? Si vergogni! Lei vorrebbe creare lavoro senza impresa? Non tutti possono lavorare nel pubblico. Non accade nemmeno più nei vostri antichi paradisi comunisti».
E vorrebbero chiuderla così. I moralizzatori del lavoro degli altri che sembra impossibile mettere in discussione.
Avanti così.
Buon venerdì.