Quanti agenti armati sono necessari per tappare la bocca ai giornalisti di uno dei quotidiani più schietti e democratici di Hong Kong, quale l’Apple daily? Secondo il governo di Hong Kong, che ha applicato la legge per la sicurezza nazionale voluta da Pechino, almeno duecento.
Il raid delle forze dell’ordine hongkonghesi presso la redazione, avvenuto il 17 giugno, è stato trasmesso in diretta Facebook sulla pagina della stessa testata. Il video live ha mostrato al pubblico mondiale un ulteriore giro di corda attorno alla libertà di stampa dei cittadini di Hong Kong, nonostante le autorità locali non siano dello stesso avviso. Il bilancio dell’operazione è stato di cinque arresti tra dipendenti e dirigenti della testata. L’accusa formulata nei loro confronti è quella di “collusione con forze estere”; gli agenti hanno provveduto a sequestrare documenti, file, computer e appunti di tutta la redazione e di tutti i giornalisti, allontanando i presenti dalle loro scrivanie e scortando fuori alcuni dirigenti e impiegati, tra cui il caporedattore della testata, Ryan Law.
Tuttavia, stando alle affermazioni della polizia di Hong Kong, agli altri redattori sarebbe stato permesso di tornare a svolgere il proprio lavoro subito dopo aver scortato fuori dagli uffici il personale preso in custodia, cosa che sconfesserebbe appunto l’idea di aver privato il giornale della sua libertà di stampa, garantita dalla mini-costituzione di Hong Kong.
Il governo di Hong Kong aveva preso di mira l’Apple daily già nell’agosto 2020, quando Jimmy Lai, fondatore della testata e imprenditore attivo nel campo della moda e dei media, venne arrestato per aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, con l’accusa di aver sostenuto e istigato le rivolte di piazza dei black bloc, nonché di aver supportato economicamente un partito americano e di essere in complotto con forze “anti-cinesi”. Rilasciato su cauzione, Jimmy Lai è tornato in carcere nel dicembre dello stesso anno, senza possibilità di uscire nuovamente di cella pagando una cauzione. Da lì continua a sostenere il percorso pro-democratico del suo giornale, tanto che a scatenare l’ultimo raid sarebbe proprio un suo ennesimo articolo in cui invocava sanzioni e interventi stranieri contro il governo di Hong Kong e quello cinese che lo controlla.
Le affermazioni del segretario per la Sicurezza, John Lee, il quale sostiene che «gli arresti non hanno alcuna relazione diretta o immediata con il lavoro giornalistico e la libertà di stampa», suonano meno convincenti se si tiene conto che, parallelamente agli arresti, sono stati congelati diciotto milioni di dollari hongkonghesi di tre compagnie affiliate tra loro: Apple daily, Apple publishing e A.d. internet limited. Fortunatamente per l’Apple daily e per la stampa locale, la risposta della popolazione verso questo tipo di ingerenza politica rispetto alla libertà di stampa è stata di acquistare copie del quotidiano, a sostegno economico e morale della testata, una dinamica simile a quella avvenuta in occasione del primo arresto di Jimmy Lai, quando le azioni della sua agenzia mediatica, Next digital, crollarono, per poi essere risollevate dall’acquisto massivo da parte della popolazione. Lo stesso Apple daily riporta che successivamente all’arresto il giornale ha raggiunto il picco di 500mila copie vendute, un record di vendite mai raggiunto sin dalla sua fondazione nel 1995.
Nell’ultimo decennio la posizione di Hong Kong nella classifica per la libertà di stampa stilata da Reporters sans frontières è scesa dal 54esimo posto all’80esimo. Già nel febbraio 2021 la storica emittente radiofonica Rthk (Radio television Hong Kong) aveva subito delle forti censure da parte del Partito comunista cinese, a cui sono seguite anche le dimissioni di parte del personale, non intenzionato a svolgere il proprio mestiere sotto pressione politica. Il caso dell’Apple daily non è quindi l’unico, né l’ultimo, in cui la politica soffocante legata alla legge di sicurezza nazionale interviene sulla libertà di stampa. Tuttavia gli hongkonghesi non si lasciano incantare facilmente dai discorsi emergenzialisti del governo filo-cinese e continueranno a sostenere chi parla in nome della democrazia, copia dopo copia.