ActionAid ha lanciato la campagna #DirittiInGiacenza per denunciare un fenomeno di cui non si parla: le persone che vengono escluse dall’iscrizione all’anagrafe. Che troppo spesso è discrezionale, illegittima e discriminatoria verso i più fragili. E oltre 300mila sono di origine straniera

Vivere in uno stato di attesa e di incertezza, privati dei diritti fondamentali: non avere diritto al medico di base, essere discriminati nell’accesso ai vaccini, avere problemi per la mensa scolastica e per il bonus libri dei propri figli, affrontare difficoltà per accedere ai sussidi, ai buoni spesa Covid e all’assistenza sociale, non votare, spesso non poter rinnovare il permesso di soggiorno, essere costretti a registrarsi come senza fissa dimora. È quanto sperimenta un numero imprecisato di persone italiane e migranti in Italia, oltre 300mila stimati solo quelle di origine straniera (Dati Ismu, Iniziative e studi sulla multietnicità), che resta escluso dall’anagrafe.

Uno scenario approssimativo che non consente una stima certa a causa dell’assenza di dati verificabili da parte delle istituzioni, che non permettono di conoscere l’ampiezza reale di una importante parte della popolazione effettivamente presente sul nostro territorio, ma nei fatti tagliata fuori dai servizi e dai diritti essenziali. Storie e racconti che ricorrono in due dossier realizzati da ActionAid a Roma nel quartiere del Quarticciolo e a Napoli nei quartieri di Soccavo e Pianura, e dalle testimonianze raccolte grazie alle associazioni partner a Bologna, Carmagnola (Torino) e Catania.

Nei giorni in cui si celebra la digitalizzazione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr), ActionAid lancia la campagna #DirittiInGiacenza per denunciare che troppo spesso nel nostro Paese l’esclusione dalla residenza è discrezionale, illegittima e discriminatoria verso le persone più fragili. Soltanto chi è iscritto nei registri anagrafici, infatti, è “visibile” dal punto di vista amministrativo e, quindi, è parte della popolazione per la quale le istituzioni pensano le politiche ed erogano la spesa sociale. Sono le persone più fragili, costrette o indotte a vivere in condizioni di irregolarità contrattuale o in immobili non congrui – molto spesso perché povere o impoverite - ad essere doppiamente penalizzate ed escluse, spesso illegittimamente, dalla registrazione della residenza.

Perché si viene esclusi dall’anagrafe? L’art. 43 del codice civile stabilisce che «la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Si tratta di una definizione molto chiara e semplice. Non può essere di ostacolo alla iscrizione anagrafica la natura dell’alloggio, quale ad esempio un fabbricato privo di licenza di abitabilità ovvero non conforme a prescrizioni urbanistiche, grotte, alloggi in roulottes, né la presenza o meno di un contratto regolare di proprietà o di locazione. Nonostante questo, il legislatore negli anni ha escluso dall’anagrafe specifici gruppi sociali con finalità “punitive” (ad esempio i richiedenti asilo con i decreti Sicurezza del primo governo Conte), prima ancora l’art. 5 del “Piano casa” del 2014, nato per contrastare le occupazioni abusive, ha di fatto posto delle barriere insormontabili anche a migliaia di persone impossibilitate a dimostrare presso gli uffici dell’anagrafe un titolo di possesso dell’immobile ritenuto valido. Per le persone straniere la situazione è ancora più grave: molti uffici non registrano le dichiarazioni di residenza presentate dai cittadini stranieri con il permesso di soggiorno in fase di rinnovo, conversione o rilascio: è una procedura illegittima molto diffusa. Inoltre, sono numerosi i casi di errori burocratici che rendono impossibile arrivare a chiudere positivamente la richiesta di iscrizione. Per sfuggire all’invisibilità chi è escluso dalla residenza per potersi registrare nel Comune dove vive è costretto a ricorrere alla cosiddetta iscrizione fittizia, cioè iscriversi come senza fissa dimora. Una soluzione difficile e che toglie dignità alle persone perché richiede un colloquio preliminare con i servizi sociali e ha tempi di gestione lunghissimi.

Mariza è una donna peruviana di 38 anni. Da quindici anni vive in Italia, con il marito Ramos e i due figli di 15 e 9 anni. Dal 2016 vive in un appartamento fatiscente senza contratto delle case popolari al Quarticciolo a Roma, lavora come addetta alle pulizie in una cooperativa, si impegna con il Comitato di quartiere per avere l’assegnazione di un alloggio popolare dignitoso. Durante l’emergenza Covid Ramos, suo marito ha perso il lavoro, ha contratto il virus ed è stato ricoverato in ospedale per complicazioni. Ma il rinnovo del permesso di soggiorno è bloccato in Questura, non è riuscito ad ottenere la residenza come senza fissa dimora e la pratica non va avanti. È senza medico di base e tessera sanitaria. «L’hanno ricoverato all’ospedale San Giovanni. Dicono che il Covid ha svegliato una malattia che lui aveva già quando era giovane. Adesso deve stare in trattamento in ospedale per una settimana/dieci giorni. I dottori mi hanno detto che devo andare all’Asl a fare il medico di famiglia: senza, il trattamento che deve fare costerebbe mille euro al giorno. Sono rimasta allibita. Ma come faccio, dove li prendo diecimila euro?» racconta Mariza. Grazie al Comitato e all’assistente sociale coinvolta Mariza è riuscita ad ottenere il tesserino per Stranieri temporaneamente presenti (Stp) che ha permesso a Ramos di essere curato in ospedale. Sta però ancora aspettando la registrazione come senza dimora all’anagrafe.

I numeri crescenti delle persone senza iscrizione anagrafica hanno creato anche il “mercato delle residenze”, non di rado infatti si è costretti ad acquistare la possibilità di essere registrati presso un appartamento nel quale non si vive. Pierre è il presidente di un’associazione senegalese a Napoli che organizza attività culturali e soprattutto assistenza per i propri connazionali. La diffusissima pratica di non stipulare regolari contratti d’affitto da parte dei proprietari ha gravissime conseguenze sulle vite delle persone. «I senegalesi – dice Pierre – affittano le case anche in nero perché il proprietario spesso non vuole fargli il contratto, non vuole pagare le tasse. Molti proprietari non danno alternativa: o prendi o lasci; tanto troveranno sempre qualcuno. La conseguenza è che i ragazzi sono costretti a dichiarare la propria residenza dove non dormono, dove non vivono, o addirittura comprano la residenza attraverso intermediari, sia italiani che stranieri». Senza ricevute di pagamento dell’affitto si è esposti a ogni forma di ricatto. Come nel caso seguito da Pierre di una donna senegalese che, rientrata a Napoli nella sua casa dopo un soggiorno in Senegal, ha trovato la porta dell’abitazione, dove viveva da cinque anni, chiusa con un catenaccio. Non le viene data nemmeno la possibilità di ritirare le sue cose. Il proprietario sostiene che non paga l’affitto, mentre la donna dice che lui non le ha mai rilasciato ricevute. L’avvocato della donna ha fatto un esposto, mentre i carabinieri dicono che la donna non può fare la denuncia perché non esiste un contratto d’affitto.

In questo labirinto burocratico il ruolo delle associazioni sul territorio è cruciale. ActionAid è attiva a Napoli con uno sportello sul diritto all’abitare che fornisce anche assistenza alle persone straniere che hanno bisogno di conseguire l’iscrizione all’anagrafe per avere accesso ai diritti. Barriere linguistiche, difficoltà nelle pratiche, mancato dialogo tra le diverse istituzioni, discrezionalità e discriminazioni, sono le cause principali che senza l’intervento diretto e la presa in carico delle associazioni non sarebbero superati. Un dato e un problema che accomunano Nord, Centro e Sud Italia dove emerge chiaramente la difficoltà di assistenza per i lavoratori e i braccianti agricoli. Nelle comunità dove non sono presenti Ong, associazioni e sindacati non c’è infatti nessuna forma di sostegno e orientamento legale e le persone sono abbandonate a loro stesse. Siamo di fronte ad un problema enorme e sommerso e la politica e le istituzioni se ne devono fare carico e invertire la rotta. Noi crediamo che sia necessario garantire anche alle persone senza residenza i diritti fondamentali. ActionAid è in prima linea in questa battaglia perché crediamo che tutti abbiano diritto ad avere una vita dignitosa.

Per contrastare le violazioni del diritto alla residenza, ActionAid si è mobilitata a Roma, insieme ad altre organizzazioni, ricercatori e attivisti, affinché sia superata ogni procedura illegittima applicata negli uffici anagrafici e per la cancellazione dell’articolo 5 del decreto Lupi. A Napoli ActionAid, attraverso la collaborazione con le associazioni della diaspora e con il protagonismo dei diretti interessati, partecipa alle attività del progetto Yalla! Social community services, che ha come capofila il Comune di Napoli. L’obiettivo dell’iniziativa è migliorare il livello di efficienza del sistema dei servizi socio-assistenziali rivolto a cittadini di Paesi terzi, con particolare attenzione ai nuclei familiari con minori in disagio abitativo, sperimentando modelli innovativi di inclusione scolastica e socio lavorativa, accoglienza e accesso ai servizi. Lo sportello sul diritto all’abitare gestito da ActionAid nell’ambito del progetto fornisce tra altre cose assistenza alle persone straniere che hanno bisogno di conseguire l’iscrizione all’anagrafe per accedere ai diritti.

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L’autrice: Katia Scannavini è vice Segretaria Generale di ActionAid Italia

(nella foto il flash-mob a Montecitorio a Roma per il lancio della campagna #DirittiInGiacenza il 22 luglio)

Qui il dossier su Roma e su Napoli