Sempre a proposito dei lavoratori-schiavi che secondo la Procura di Padova sarebbero stati presi in subappalto da Grafica veneta (l’azienda che tutto il Veneto elogiava come punta di diamante dell’imprenditoria dalle parti di Zaia) sono usciti alcuni particolari dell’indagine che tornano molto utili non tanto a farsi un’idea su questa vicenda (ci sarà un processo, deciderà un giudice) ma almeno a capire come sia avvenuta la graduale distruzione dei diritti sul lavoro e quindi, di conseguenza, il crollo dei salari.
Il 7 luglio del 2020 i carabinieri si presentano nella sede dell’azienda a Trebaseleghe per sequestrare alcuni documenti che regolano i rapporti tra Grafica veneta e Bm service (l’azienda pagata per reclutare gli schiavi, controllarli e nel caso punirli). Nei mesi precedenti cinque persone di nazionalità pachistana erano state ritrovate pestate e legate ai bordi delle strade e altre cinque si erano presentate al Pronto soccorso lamentando botte e sevizie. I lavoratori lavoravano 10, 12, 16 ore al giorno per uno stipendio di 1.100 euro che veniva decurtato di 120 euro per l’affitto e ulteriori 200, 300 o 400 euro.
L’azienda veneta si difende dicendo di non saperne niente (come se fosse comunque normale subappaltare la manodopera fottendosene delle condizioni in cui lavora) ma il gip la pensa diversamente: «Grafica veneta è perfettamente consapevole del numero di ore necessarie per svolgere il lavoro che appalta e non a caso, disponendo delle timbrature dei dipendenti Bm Service, ha fatto di tutto per non consegnarle alla Polizia giudiziaria», scrive nell’ordinanza.
Il procuratore di Padova, Antonino Cappelleri, ha spiegato bene il sistema durante la conferenza stampa seguita al blitz: «La particolarità di questo caso di caporalato è la complicità, che credo siamo riusciti a dimostrare in pieno, dell’azienda italiana con quella gestita dai pakistani, nonostante le solide condizioni economiche e la possibilità di operare in maniera regolare. Sono riusciti a delocalizzare un settore nella loro stessa sede, appaltando manodopera a prezzi bassissimi».
Secondo il gip, «è l’amministratore delegato che indica il numero di persone da assumere, soffermandosi anche sulle tipologie di contratto da utilizzare e sull’attività di vigilanza che pretende sia fatta sui dipendenti». Inoltre, il giorno dell’arrivo dei carabinieri, l’analisi delle telefonate tra Bertan e Pinton (amministratore delegato e dirigente di Grafica veneta) relative agli ingressi e alle presenze degli operai, «dimostra che i due fanno di tutto per non comunicare quei dati in quanto avrebbero provato il loro pieno coinvolgimento nello sfruttamento dei lavoratori». Il gip scrive: «Addirittura, vi sono state telefonate in cui i dirigenti della Grafica hanno detto al proprio tecnico di non consegnare nulla e cancellare i dati, disperandosi una volta appreso che la Polizia giudiziaria era comunque riuscita ad acquisire un dato parziale». Bertan a Pinton: «Mi raccomando con le timbrature». Bertan invita il titolare pakistano di Bm service a parlare «ai suoi operai affinché rispondano bene». Bertan chiede a Pinton: «Noi gli abbiamo dato le timbrature?». E si sente rispondere: «No…se le sono prese loro dal computer per quanto riguarda gli ingressi e le uscite. Nell’aprire il programma hanno visto tutto». A quel punto Bertan non usa mezze parole: «Ci siamo inculati da soli».
Quegli schiavi ci riguardano. Quegli schiavi sono la fotografia di un modo di fare impresa che subappalta i diritti al migliore offerente che per stare nel prezzo i diritti li maciulla senza troppe cortesie. Dietro quegli schiavi c’è quella stessa imprenditoria che si lamenta di non trovare altri schiavi puntando il dito sui sussidi e sul reddito di cittadinanza. Dietro quegli schiavi c’è la riflessione che manca a un pezzo dell’imprenditoria italiana che fa la morale agli altri ma ha un enorme questione morale che finge di non vedere.
Buon mercoledì.