Umberto Riva si può definire come un autore particolare, discreto e apparentemente solitario nella sua originalità. Nato nel 1928 e scomparso lo scorso 25 giugno, appartiene ad una generazione che si è formata con i grandi maestri dell’architettura italiana e che ha vissuto le fasi più importanti dello sviluppo edilizio nel Paese. È un architetto che ha percorso elegantemente ma in punta di piedi la storia del secondo Novecento. Medaglia d’oro alla carriera nel 2018, è stato ricordato il 6 luglio scorso presso l’Adi Design Museum di Milano. La sua è una ricerca che assume una grande importanza nel tempo attuale in cui anche l’architettura è chiamata a dare risposte nuove alle esigenze degli esseri umani.
La sua formazione sarà caratterizzata dall’esperienza con Franco Albini, ma soprattutto da quella con Carlo Scarpa che per Riva sarà molto importante e indirizzerà il suo modo di progettare, sempre attento allo sviluppo dei particolari architettonici che traducono riflessioni e attenzioni.
Nel frattempo la cultura architettonica italiana dalla fine degli anni Sessanta a tutti gli anni Ottanta vedrà tendenze che propongono, rispetto all’espressione artistica architettonica, una strada arida, in cui l’umano talvolta scompare, come ad esempio nel riferimento postmoderno di Aldo Rossi al De Chirico delle piazze d’Italia (vedi anche Antonino Saggio, “Aldo Rossi: Ogni città è forma” in Left del 30 aprile 2021).
Pur appartenendo ad una generazione di architetti che ha condiviso il passaggio attraverso il ’68 e la stagione successiva, Riva non ha mai abbandonato un modo di intendere il mestiere basato sul rapporto con il committente e con il luogo, mentre in quegli anni prendevano piede semplificazioni schematiche e concettuali del problema dell’abitare.
In un lungo arco temporale molto complesso, pieno di domande e contraddizioni, Umberto Riva ha…
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