Piccolo avviso a quelli che si credono furbi e che hanno rizzato i peli poiché ci si è permessi di ripercorrere le assurdità procedurali e di costruzione della tesi dell’accusa nei confronti di Mimmo Lucano: se avete passato le ultime ore a lamentarvi della difesa che si è levata nei confronti di Lucano spiegandoci che mancano ancora le motivazioni e che le sentenze non si commentano, sappiate che a commentare sono arrivati di grancassa addirittura il pubblico ministero nonché il procuratore del tribunale di Locri, tanto per dare un’idea della stortura e dell’indecenza di un processo che è stato farsesco in fase d’istruzione del processo, nello svolgimento, nelle condanne e ora addirittura nella spettacolarizzazione della coda.
Il pubblico ministero Michele Permunian (uno che in durante il processo avrebbe voluto inventarsi i fini politico-elettorali come movente ed è stato fragorosamente stoppato dal giudice, tanto per dare un’idea del profilo) ha rilasciato un’unta intervista in cui ci fa sapere che vive «un conflitto interiore, come persona e come magistrato. Comprendo – dice Permunian – il peso di una pena del genere: quando ho chiesto 7 anni e 11 mesi, sapevo che c’era il rischio di una condanna più alta». Insomma vorrebbe essere perfino ringraziato per avere avuto la “mano leggera”, in nome non si capisce bene di cosa poiché i magistrati dovrebbero avere una “mano giusta” senza raccontarci epici turbamenti interiori. Addirittura ci dice: «Avevo fatto anche una “requisitoria-b”, in cui arrivavo a un conteggio finale di 15 anni, ma preferivo fosse il tribunale a pronunciarsi. Prudenzialmente mi sono tenuto basso. La pena ora sembra molto alta ma se si leggono il capo d’imputazione e i reati contestati, si scopre che non lo è». Avete capito bene, il senso del messaggio è: sono stato fin troppo buono. E poiché la bontà e la riservatezza sono una sua fondante caratteristica ha pensato bene di raccontarla ai giornali, ovviamente senza ancora avere le motivazioni della sentenza. In compenso ci dice che Lucano ha usato «il denaro dello Sprar per fini privati». Sia chiaro: Mimmo Lucano è un poveraccio senza un soldo e di soldi per tornaconto personale non ne sono mai stati trovati. In sostanza i “fini privati” di Lucano consistevano nel rendere vivibile una città che prima di diventare un modello internazionale di accoglienza era un borgo dimenticato da dio.
Come se non bastasse arriva Luigi D’Alessio, procuratore di Locri, che dice testualmente che Lucano è un «bandito da western. Idealista, improvvisamente issato su un piedistallo, ubriacato da un ruolo più grande di lui, inconsapevole della gravità dei suoi comportamenti». Il procuratore non si spiega le polemiche «per un processo basato su carte e fatture false difficilmente controvertibili, non su testimoni più o meno credibili». E la pena a 13 anni? «Sono parecchi. La Procura ne aveva chiesti quasi 8 e il tribunale li ha divisi in due tronconi: quello associativo e quelli per favorire se stesso e la sua compagna, pure condannata. Poi ha fatto la somma. La matematica non è un’opinione, le pene non si stabiliscono a peso». Fenomenale l’accusa (tutta politica perché si sa, da quelle parti la politicapatia è di casa) contro Lucano colpevole (con processo sommario da svolgere in interviste) di non accogliere tutti. Avete capito bene: Lucano è colpevole di avere accolto troppo e contemporaneamente di avere accolto troppo poco. Un capolavoro di logica. D’Alessio si spinge a dire che «tutto era organizzato per favorire varie cooperative locali, creare clientele, accumulare ricchezze, beneficiare di indotti elettorali» (vuoi mettere l’enorme potere di favorire un’associazione di Riace? Roba da trampolino per fare il presidente del Consiglio) e ci fa sapere di avere «trovato una cassaforte nascosta e svuotata, non credo per custodire la merenda» che non rientra nel processo e nelle accuse. I procuratori editorialisti sono l’evoluzione degli editorialisti che amplificano le tesi delle procure. Fantastico.
Lui, Mimmo Lucano, con la semplicità che lo contraddistingue e che perfino lo rende naïf spiega che «in Prefettura mi chiamavano “San Lucano”, perché gli risolvevo i problemi degli sbarchi. Se parlano di associazione a delinquere, allora devono mettere insieme a me anche il Ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria». «Non so se ci sia stato un complotto nei miei confronti», ha detto Lucano. «Non lo so ma mi sembra tutto strano. Sono stato condannato per peculato, ma più di una volta la stessa Procura aveva detto che io non cercavo alcun tornaconto economico personale». «Con i soldi abbiamo realizzato il frantoio, la fattoria sociale, le case per il turismo dell’accoglienza. Ho cercato, in assenza dello Stato, di rispondere alle necessità dei giovani, per farli rimanere in questa terra e dare loro un’opportunità di lavoro. Ora tutto questo è diventato criminale».
Siamo solo al primo grado ma direi che ci sono tutti gli elementi per fare schifo. E chi ha conosciuto Lucano, chi è passato da Riace, non può che rimanere atterrito se non addirittura terrorizzato dal fatto che il “nemico” sia quell’ex sindaco che si è affidato agli asinelli e al piccolo artigiano. Evidentemente i “poteri forti” riescono a simulare benissimo oppure semplicemente i poteri veri sono talmente deboli da essere terrorizzati da un sindaco di provincia. E terrorizzano per eccesso di difesa.
Nei prossimi gradi di giudizio saranno in molti a doversi scusare. Tenete da parte questo articolo.
Buon lunedì.
nella foto: Mimmo Lucano dopo la sentenza del Tribunale di Locri
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