Il 16 ottobre, in ogni città italiana, le centinaia di esperienze associative conflittuali e mutualistiche della Rete dei numeri pari manifesteranno contro le politiche governative e per lanciare una piattaforma alternativa elaborata da diffusi gruppi di lavoro e di elaborazione. I quali, partendo dalle esperienze quotidiane di lotta alla povertà hanno maturato una forte coscienza critica e di progettualità alternativa. Il 16 ottobre sembra a me un passaggio importante anche di fronte ad una situazione che ritengo di rischio per la democrazia costituzionale. Lo scriviamo da tempo anche su Left. Ne sono state metafora gli esiti delle recenti elezioni amministrative. Se più della metà della cittadinanza non vota vuol dire che la politica interessa sempre meno. Si rafforza la delega acritica a Draghi, che i mass media (non Left, fortunatamente) osannano come l'”uomo della Provvidenza”. La moneta si autorappresenta. Il popolo italiano diventa protesi della tecnocrazia di Bruxelles. L’astensione è sintomo della gravissima crisi della rappresentanza. Le persone sono convinte che il voto non incide sulle proprie vite, sui propri bisogni, sulle proprie speranze. La politica muore perché le sedi decisionali non sono più controllabili dal protagonismo democratico. I partiti sono solo simulacri del potere del “capo”. Partiti senza società e società senza partiti. Il potere di Draghi consolida una forma di assolutismo, un semipresidenzialismo di fatto già in atto. Rinasce il bipolarismo della “utilità” del voto che schiaccia ed espelle le minoranze critiche. La distorsione incostituzionale del sistema maggioritario viene assunta come intoccabile. Avanza, purtroppo, anche il progetto infame di “autonomia differenziata”, la “secessione dei ricchi”.
Il 16 ottobre , quindi, vogliamo discutere in piazza, in maniera non accademica, della crisi della democrazia costituzionale. Sul piano strutturale, che è collegato, il 16 ottobre diremo che ci troviamo ad un punto di svolta, come 40 anni fa: quei giorni della sconfitta operaia alla Fiat che pesa ancora oggi: vi sono, infatti, avvenimenti che dividono il tempo storico in un prima e un dopo. Allora si chiuse simbolicamente il Novecento industriale e nasceva la fase del lavoro senza diritti. Si rafforzava l’inedito modello sociale della borghesia predatrice globale, della finanziarizzazione, dei ceti medi decomposti che sono alla base della crisi sociale di oggi. Chi aveva vissuto, alla catena di montaggio, come fulcro operaio della società, anni di lotta e liberazione, veniva ingabbiato in lavori servili. Il precariato segnava e segna un presente doloroso senza futuro. Ma restano donne e uomini liberi; la loro difficile resistenza di oggi è base di un possibile movimento di massa, non nostalgico, ma capace di leggere le aspre contraddizioni della modernità e della ferocia del capitale con la grammatica del progetto propositivo. Va ricostruita la forza comunicativa, la “potenza sociale” (per dirla con Marx) di alcuni eventi di lotta che hanno una matrice comune. Parlo della aspra ed intelligente lotta di resistenza operaia contro le “delocalizzazioni”, che ha trovato un fulcro unificante nello splendido e colto consiglio di fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio così come delle lotte eroiche della logistica, di lavoratrici e lavoratori supersfruttati (quasi tutti migranti). Chiediamo che lo Stato intervenga per evitare che la libertà economica privata travolga i limiti delle finalità sociali imposti alle aziende dall’art. 41 della Costituzione. Se il governo continua ad essere inerte rispetto al totalitarismo del mercato viene infranto lo stesso ordinamento, lo Stato di diritto. E che dire dello scontro sulla “riforma fiscale”? Anche solo parlare di “patrimoniale” in Italia è ritenuto atto eversivo. È, invece, urgente ristabilire un elementare principio di giustizia fiscale, favorire una maggiore progressività, che permetterebbe un sostanziale alleggerimento della pressione fiscale sui redditi da lavoro ed una più audace lotta alle forme di elusione ed evasione che a fronte di una patrimoniale sarebbero “scovate”. Così come penso alla diffusa mobilitazione dei protagonisti diretti delle lotte che hanno aperto questo autunno per realizzare in occasione del G20 una mobilitazione che tenga insieme il significato delle iniziative più recenti (a Firenze con la Gkn, a Piazza del Popolo a Roma con le donne, in tutte le città con il Global Strike per il clima, a Milano per la giustizia climatica). La manifestazione del 16 ottobre è frutto di attività ed elaborazioni di gruppi di lavoro che hanno ragionato ed agito sul mutualismo, sul “saper fare società”. È una base di partenza, al fine di far convergere, in una mobilitazione permanente, quotidiana, certo complessa e plurale, le lotte per la giustizia climatica e sociale , contro la “borghesia mafiosa”, per la dignità delle persone, dei loro lavori, del loro tempo libero, dei loro amori.
*-* Aggiornamento del 13 ottobre 2021
La Rete dei numeri pari ha deciso di far convergere la mobilitazione romana in piazza San Giovanni a fianco della Cgil