I ministri più talentuosamente spaventosi sono quelli che non esistono, quelli che riescono ad agire sotto traccia spostando miliardi di euro mentre sulle colonne dei giornali si accapigliano su qualche sparuto milione, quelli che pesano moltissimo nel bilancio dello Stato eppure quando li vedi sembrano dei boy scout in gita a Roma, con l’espressione incredula di chi scoppierebbe a ridere confessando di essere arrivato fin lì.
Al ministero della Difesa c’è Lorenzo Guerini, uomo politico che ha avuto come più grande pregio quello di essere l’amichetto del cuore di Matteo Renzi in quel periodo in cui perfino il lattaio di Renzi finiva in qualche consiglio di amministrazione. Guerini però con Renzi ha rotto quando è nata Italia Viva e i ben informati dicono che Matteo non l’abbia presa benissimo, no. Del resto, pensateci bene, perché rischiare di scendere dal tram quando si è già arrivati alla fermata più prestigiosa. Guerini attraversa i governi e li attraverserà ancora a lungo, la scuola democristiana insegna l’arte della facoltosa immersione, e alla Difesa sta facendo cose di cui non si sente mai parlare in giro.
Cosa sta facendo Guerini? Come racconta Luciano Bertozzi in un suo articolo Guerini ha ordinato: tranche di elicotteri multiruolo Light utility helicopter (Luh) per i carabinieri, con un costo di 246 milioni di euro; programma pluriennale di ammodernamento e rinnovamento per lo sviluppo di un sistema europeo di aeromobili a pilotaggio remoto (cioè senza pilota): costo di 1.903 milioni; veicoli ad alta tecnologia per la mobilità tattica terrestre dei carabinieri: costo 112 milioni di euro; implementazione, potenziamento e aggiornamento di una capacità di Space situational awareness (Ssa), basata su sensori (radar e ottici) e un centro operativo Ssa per la conoscenza di oggetti spaziali artificiali: costo di 90 milioni di euro.
E ancora, aggiornamento e completamento della capacità di comando e controllo multidominio delle Brigate dell’esercito italiano: costo di 501 milioni; acquisizione di ulteriori 175 veicoli di nuova generazione Vtlm Lince 2 per l’esercito italiano (mezzi ampiamente usati nelle missioni italiane all’estero): costo 385 milioni; ammodernamento e rinnovamento dei sistemi missilistici di difesa aerea navale Principal anti air missile system (Paams) e dei radar per la sorveglianza a lunga distanza imbarcati sulle navi Andrea Doria e Caio Duilio: costo di 640 milioni; munizioni a guida remota per le forze speciali.
Infine, ammodernamento, rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica a protezione del territorio nazionale e dell’Alleanza atlantica, e a garantire la protezione di teatro alle forze schierate in aree di operazione: costo 2.378 milioni di euro.
Guerini ha appena chiesto al Parlamento di poter spendere oltre 6 miliardi di euro per comprare nuove armi. Del resto il ministro della Difesa italiano, all’incontro Nato del 17-18 febbraio, aveva annunciato di voler aumentare la spesa militare (in termini reali) da 26 a 36 miliardi di euro annui. Manlio Dinucci sul Manifesto del 23 febbraio scorso scriveva: «l’Italia si è impegnata a destinare almeno il 20% della spesa militare all’acquisto di nuovi armamenti all’interno della Nato. Per questo, appena entrato in carica, il 19 febbraio Guerini ha firmato un nuovo accordo con 13 paesi dell’Alleanza atlantica più Finlandia, denominato Air Battle Decisive Munition, per l’acquisto congiunto di “missili, razzi e bombe che hanno un effetto decisivo in battaglia aerea”».
Con 6 miliardi di euro si costruiscono 120mila asili nido, si attrezzano 75mila posti letto in terapia intensiva, si costruiscono 48mila case popolari, si costruiscono 1.200 chilometri di autostrada. E così via, solo per dare un’idea di ordine di grandezza.
Poi ci sarebbe la domanda delle domande? Perché in Italia non esiste mai un dibattito sul convertire le spese militari in sedi civili? Bisognerebbe chiederlo a Guerini. Ma Guerini è uno di quei ministri che non esistono.
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