A proposito di violenza contro le donne e di negazione della loro identità, non è violenza ostacolare con dogmi antiscientifici la scelta di abortire? Non è violenza dare dell’assassina a chi interrompe una gravidanza? Non è violenza anteporre il proprio credo religioso alla salute psicofisica della donna? E colpevolizzarla definendo “martiri” i feti abortiti, come vuol fare la Chiesa?

In Italia c’è un femminicidio ogni tre giorni. Dall’inizio dell’anno sono già 108 le donne uccise, perlopiù da mariti, ex o familiari. In molti casi a scatenare la violenza è la volontà delle donna di separarsi, di rifarsi un’altra vita. Una nota scrittrice qualche giorno fa diceva in tv: il problema è l’idea maschile dell’amore come possesso.

No, torniamo a ripetere con forza, la possessività di alcuni uomini, la gelosia, non è amore, è controllo e sopraffazione. Dove c’è violenza, non ci può essere amore, che al contrario si esprime anche come profondo interesse per l’altro, per la sua piena realizzazione. Così come non c’è nulla di sessuale nello stupro. La sessualità è l’esatto contrario della violenza che è sempre patologica. Ma la cultura dominante nega tutto questo. Anche qualche giorno fa riportando notizie sull’assassinio di Juana Cecilia un quotidiano locale ha titolato: “Sesso nel parco prima di ucciderla”.

Di anno in anno ogni 25 novembre (e non solo) continuiamo a ripetere queste incontrovertibili evidenze che, se non fossero negate, aiuterebbero il cambiamento culturale e farebbero fare un passo avanti nella lotta alla violenza sulle donne. Il punto non è solo sanzionare ma è puntare a eradicare la violenza contro le donne, perché la violenza non è un dato di natura, innato, negli uomini. Per farlo però bisogna agire su più piani e su tutti quanti siamo in ritardo.

Sul piano della legge, per restare all’Italia, il ministro Lamorgese ha annunciato un nuovo pacchetto di norme volte ad aumentare il minimo delle pene per potere poi procedere con strumenti di prevenzione maggiormente efficaci. Come drammaticamente ci dice anche l’uccisione di Juana Cecilia, le donne che denunciano troppo spesso non vengono sufficientemente protette.

Il suo ex compagno era stato condannato per stalking, ma non è bastato. Per questo bisogna urgentemente rafforzare la rete di strutture pubbliche preposte ad aiutare le vittime nel loro percorso di liberazione, dalle case protette ai centri antiviolenza. Il report di Action Aid, Cronache di una occasione mancata, rileva che solo il 2% dei fondi stanziati è arrivato ai centri anti violenza. Oltre al deficit di finanziamento c’è quello culturale. Le stesse forze dell’ordine troppo spesso non hanno una formazione personale tale da riuscire a vedere la violenza se non è conclamata.

Le donne che denunciano un partner violento non di rado non vengono credute oppure vengono incoraggiate alla riconciliazione talora anche da chi raccoglie la denuncia o da parenti ciechi di fronte alla violenza invisibile, quella psicologica, che precede sempre quella fisica.

Per questo è fondamentale continuare a fare quotidianamente, sui media, nei tribunali, nelle scuole un lavoro capillare per decostruire stereotipi, per smascherare i pregiudizi e i giudizi svalutanti nei confronti delle donne ma anche dei bambini, da certi maschi, considerati come esseri inferiori, negati nella loro realtà umana, usati come arma di ricatto. E in casi come quelli recenti di Vetralla e Sassuolo addirittura uccisi. Con l’aiuto delle psicoterapeute Barbara Pelletti e Maria Gabriella Gatti su questo numero di Left siamo tornati ad indagare le radici culturali e patologiche di questi agghiaccianti crimini.

Occupandoci non solo della violenza manifesta ma anche di quella violenza invisibile esercitata sulla donne dai monoteismi. E in particolare da Santa Romana Chiesa che trova alleati fra i cattolici che siedono in Parlamento. Alcuni anni fa il papa volle visitare la parte di un cimitero romano dedicata ai “bambini non nati” e ora alcuni teologi parlano dei feti abortiti come martiri, invocando un iter in Vaticano per il riconoscimento ufficiale del “martirio”. Più volte e anche nelle ultime settimane il papa ha stigmatizzato come assassine le donne che decidono di abortire. «È come affittare un sicario per risolvere il problema», ebbe a dire qualche anno fa.

Che il pontefice segua la dottrina negando ogni evidenza scientifica e arrivando a confondere il feto con il bambino non ci stupisce, fa il suo “mestiere” di papa. Ma che lo faccia una senatrice del Parlamento italiano è ancor più inaccettabile. Qualche giorno fa negando la neonatologia quando afferma che il feto è una realtà puramente biologica, la senatrice e neuropsichiatra infantile Paola Binetti ha presentato nella sala Caduti di Nassirya del Senato una legge di iniziativa popolare in cui si legge: «Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento concepimento».

In Abruzzo, intanto, Fratelli d’Italia ha presentato una proposta di legge regionale per creare «un camposanto dei bambini mai nati». Il testo prevede il seppellimento dei feti abortiti in quell’area anche se i genitori non provvedono e non lo richiedono. L’Abruzzo come il Texas insomma. Come già rischia di esserlo Roma, denuncia Francesca Tolino che dopo aver abortito ha dovuto subire la violenza di vedere il feto tumulato e senza il suo consenso. Sopra la croce c’era scritto il suo nome. Alla gogna per aver deciso di non portare avanti la gravidanza per le gravissime malformazioni del feto. E questa non sarebbe violenza?


L’editoriale è tratto da Left del 26 novembre 2021

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