[su_button url="https://left.it/left-n-50-17-dicembre-2021/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"] 💥 Porta Left sempre con te, regalati un abbonamento digitale e potremo continuare a regalarti articoli come questo! 🆙 Bastano pochi click! 🔴 Clicca sull'immagine oppure segui questo link > https://left.it/abbonamenti ---> Se vuoi regalare un abbonamento digitale, scrivi a [email protected] oppure vai nella pagina abbonamenti, clicca sull'opzione da 117 euro e inserisci, oltre ai tuoi dati, nome, cognome e indirizzo mail del destinatario <---Non è responsabile, non è opportuno, non in questo momento. Un incredibile fuoco di fila si è levato da quasi tutti i ranghi della politica e della stampa contro la decisione di Cgil e Uil di indire lo sciopero generale del 16 dicembre. Quasi fosse un gesto di lesa maestà invitare a manifestare i lavoratori e chi un lavoro non ce l’ha per far sentire la propria voce inascoltata dal governo. Come se scioperare fosse un diritto costituzionale subordinabile al mantenimento della pax draghiana, purché sia. Mentre andiamo in stampa mancano ancora 48 ore allo sciopero. Non sappiamo che seguito avrà. Ma non potevamo uscire in edicola all’indomani di questo importante appuntamento democratico senza rimarcare e denunciare i tentativi di boicottaggio che sono stati messi in campo a reti pressoché unificate. Colpiscono due immagini. Da un lato la responsabilità e l’impegno di Cgil e Uil che hanno convocato lo sciopero nel pieno rispetto delle regole anti Covid e tenendo fuori i lavoratori dei servizi essenziali.
Dall’altro la sdegnata reazione stile Ancien régime che hanno avuto quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, sulla stessa scia di Confindustria. Vade retro conflitto sociale e ogni sua espressione. Come se non fosse un elemento di dialettica democratica. Come se non fosse un elemento da leggere e interpretare, in una prospettiva dinamica di cambiamento politico progressista. Francamente sembra di essere tornati all’Ottocento. È questo il risultato di anni di disintermediazione e di esclusione dei corpi sociali di cui l’ex premier Renzi è stato un campione. Il governo dei migliori non si è comportato diversamente, convocando i sindacati sempre a “cose fatte”, per informarli delle decisioni prese. Fin qui ignorando del tutto l’ampia piattaforma proposta da Cgil Cisl e Uil, nonostante le questioni che riguardano il lavoro e la giustizia sociale siano quanto mai urgenti. È sotto gli occhi di tutti quanto le disuguaglianze si siano acuite durante la pandemia.
In Italia ci sono 5 milioni di poveri e non basta certo il reddito di cittadinanza a risolvere questa enorme ingiustizia. È sotto gli occhi di tutti che fasce amplissime di popolazione – disoccupati, lavoratori precari, intermittenti, a chiamata, lavoratori poveri – sono anche prive di rappresentanza politica tanto che molti di loro non votano. Forse è per questo che i partiti che sostengono il governo Draghi se ne disinteressano, puntando tutto sui ceti medio alti e lasciando che la destra populista di Fratelli d’Italia soffi sul malcontento. Nel grave deficit di democrazia che l’Italia sta attraversando con un governo di unità nazionale che comprende Lega e Forza Italia mentre l’“opposizione” è in mano alla destra di Giorgia Meloni, l’impegno anche politico della Cgil ci appare ancor più significativo. Ora non si tratta di fondare un partito del lavoro, non si tratta di tornare ai tempi in cui il sindacato funzionava da cinghia di trasmissione.
Ma è indubbiamente importante (specie in questo momento in cui i partiti di centrosinistra si sono allontanati dal mondo del lavoro) che il sindacato, oltre ad occuparsi di ciò che gli è più specifico, ponga una questione più ampia di equità fiscale, di giustizia e di trasformazione sociale. Questo leggiamo nelle ragioni urgenti ed essenziali che hanno portato Cgil e Uil a indire lo sciopero generale. Le questioni e le proposte sono tante, per una equa riforma del fisco, una riforma delle pensioni pensando anche a una pensione di garanzia per di giovani, per combattere «la pandemia sociale e salariale».
Che fine hanno fatto i provvedimenti promessi dal governo per fermare la strage di morti sul lavoro? Che fine ha fatto il decreto contro le delocalizzazioni selvagge promesso dal governo? Dalla Caterpillar alla Better, dalla Whirpool alla Speedline, sono migliaia i posti di lavoro a rischio nel nostro Paese a causa di un capitalismo predatorio di multinazionali che, pur avendo ricevuto aiuti pubblici ed essendo in attivo, decidono di chiudere per andare a produrre in Paesi dove la mano d’opera costa di meno. Mentre il governo anche su questo non batte un colpo, responsabilmente non solo pensando alla propria sorte, ma per tutelare l’occupazione e il tessuto produttivo del Paese, il collettivo dei lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio, con l’aiuto di giuristi, ha messo a punto una proposta di legge per bloccare le delocalizzazioni selvagge.
Il loro testo, dopo essere stato depositato alla Camera e al Senato, è diventato un emendamento alla Legge di bilancio, (depositato dal senatore di Potere al popolo Matteo Mantero, insieme alla senatrice Paola Nugnes di Sinistra italiana) ed è stato ammesso alla discussione in Commissione. Abbiamo raccontato fin dall’inizio la vicenda emblematica della Gkn, continueremo a farlo. Così come continuiamo (anche su questo numero) ad occuparci dello sfruttamento dei rider e delle inumane condizioni di lavoro che sono costretti ad accettare. Sulla scia della legge spagnola del governo Sanchez a cui ha lavorato la ministra Yolanda Diaz, Bruxelles sta lavorando a una direttiva che obbliga le piattaforme digitali a contrattualizzare i rider come lavoratori dipendenti riconoscendo loro diritti come ferie, malattia ecc.
Ce lo chiede l’Europa. L’Italia cosa fa? Bruxelles sta lavorando anche a una direttiva per salari minimi equi ed adeguati. La Germania del neo cancelliere Olaf Scholz ha innalzato il salario minimo a 12 euro l’ora. Ce lo chiede l’Europa, l’Italia che fa?
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