Gli occhi del mondo sono abbagliati dalle luci dell’Expo2020, che stanno attirando milioni di visitatori in quel di Dubai, paradiso perduto tra dune di contraddizioni. Ospitata per la prima volta nella storia delle esposizioni universali in un Paese arabo, l’Expo è in corso da ottobre 2021 e leverà le tende il 31 marzo. Gli Emirati Arabi Uniti si sono aggiudicati nel 2013 l’onore di ospitare tale evento di portata mondiale che, posticipato di un anno a causa della pandemia, è ricaduto in concomitanza al cinquantesimo anniversario della nascita del giovane Stato mediorientale (2 dicembre 1971). Eventi come l’Expo permettono agli Emirati di esercitare il loro soft power, mostrandosi al grande pubblico come una nazione moderna e tollerante e facendo distogliere lo sguardo dalle ripetute violazioni dei diritti umani.
Da tempo, infatti, lo Stato del “tutto è possibile” viene accusato di non rispettare i diritti umani sia da organizzazioni umanitarie internazionali che da attivisti locali, come l’emiratino Ahmed Mansoor, che sta scontando dal 2017 una condanna di 10 anni di carcere per aver svolto la sua attività in difesa dei diritti umani attraverso i social media. In molti si sono espressi, attivisti e organizzazioni della società civile, per richiedere il rilascio di Mansoor e di tutti i difensori dei diritti umani. È dell’inizio di gennaio un comunicato di Human rights watch (Hrw) e del Centro del Golfo per i diritti umani (Gchr) in cui si lancia l’allarme sullo stato di isolamento a cui sarebbe costretto il prigioniero, privato anche di cure mediche.
Tuttavia, molti altri, turisti e investitori ad esempio, hanno già da tempo scelto di…
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