Da settimane è in atto un ansiogeno e ossessivo racconto mediatico intorno all’elezione del presidente della Repubblica che tende a delegittimare il parlamento e i partiti che ci metterebbero chissà quanto tempo a scegliere il nuovo presidente.
Questa tiritera ha addirittura anticipato la prima votazione. “Ma come? Non ci potevano pensare prima?”.
Noi che siamo all’opposizione di questi partiti non dobbiamo cadere nella tentazione di assecondare questa narrazione. Siamo di fronte all’ennesima puntata della lunga campagna di qualunquismo dall’alto che ha delegittimato la democrazia costituzionale in questo paese. A fomentare questo sentimento popolare contro il parlamento sono commentatori mediatici in un coro pari a quello che ha trasformato Draghi in superMario e dieci anni fa Mario Monti in Mosè che scendeva dal Monte Sinai dopo aver parlato col Signore (le tavole sotto formula di letterina le avevano già mandate Trichet e Draghi). Lo fa per abitudine, per audience, ma una parte consistente di questo coro spazientito è imbevuta di un’ideologia e di un immaginario antiparlamentarista. Avrebbe applaudito a scena aperta se il parlamento avesse eletto Draghi alla prima votazione.
Molti di quelli che sparano contro questa lungaggine ne approfittano per rilanciare la proposta di introdurre il presidenzialismo e far eleggere direttamente dal popolo il presidente (ci metteremmo meno tempo a fare le elezioni?). Si tratta della proposta che negli anni ’70 sosteneva soltanto Giorgio Almirante e che rimane un cavallo di battaglia di Giorgia Meloni e della destra. L’hanno rilanciata in questi giorni Paolo Mieli, Matteo Renzi e tanti altri.
Nell’era di Trump e Bolsonaro, Paolo Mieli ha l’ardire di dichiarare che la preoccupazione che avevano i costituenti non sarebbe fondata e che potremmo andare tranquillamente verso il presidenzialismo. Segnalo che è stata proprio la Costituzione a impedire a Berlusconi negli anni ’90, nel 2001, nel 2008 di diventare un monarca ma troppi sembrano dimenticarlo.
La ricetta rappresenta un ulteriore passo nell’americanizzazione della politica, un altro passo verso il suo restringimento oligarchico.
Cominciò con il martellamento contro la legge proporzionale che fu abolita a furor di popolo. Eppure si trattava di una legge che consentiva di eleggere un parlamento che era “specchio del Paese” senza distorsioni della rappresentanza, e che spesso legiferava su temi fondamentali mettendo in minoranza il principale partito di governo.
In quel parlamento si fecero le nazionalizzazioni, si istituì il servizio sanitario nazionale, si approvò lo Statuto dei Lavoratori, si aprirono le scuole e le università alle classi popolari, si fecero riforme avanzatissime. Non ce lo dicono ma nella maggior parte dei Paesi europei le leggi elettorali sono rimaste proporzionali, mentre è l’America Latina ad avere sistemi presidenzialistici a imitazione dello zio Sam.
Con il maggioritario e il bipolarismo il parlamento è stato sottomesso all’esecutivo. E sono state create le condizioni politiche per le privatizzazioni e le tante controriforme sollecitate sempre da quelli che alimentano il “qualunquismo dall’alto”.
Da tempo siamo dentro un circolo vizioso con la perdita di credibilità del ceto politico selezionato in questi decenni di neoliberismo bipartisan che ha prodotto crescente malcontento e insoddisfazione. Se la politica conta sempre meno si seleziona il personale adatto.
Non ho nessuna simpatia verso i partiti presenti in parlamento che ai miei occhi fanno parte tutti di un arco anticostituzionale. I nomi che propongono per la presidenza della Repubblica suscitano perplessità e preoccupazione. A volte orrore o ilarità disperata.
Detto questo però difendo il fatto che i partiti discutano e il parlamento voti finché non si riesce a eleggere un presidente. E che questo non sia tempo perso.
Viviamo in una postdemocrazia. Lottiamo per eliminare il post non quel che resta della democrazia.