Due anni di emergenza Covid sono costati in Italia il drammatico aumento della soglia di povertà e non solo a Ferrara, dove al Comune sono pervenute all’inizio del 2020 circa 730 domande per una casa popolare. Domande di cittadini in difficoltà ancora in attesa di una risposta. Per assegnare appena un’ottantina di alloggi disponibili, infatti, il sindaco Alan Fabbri ha ingaggiato una battaglia con il tribunale. Lo scopo della giunta a trazione leghista, come già argomentato in precedenza su queste pagine, era quello di stabilire chi fosse «il più bisognoso».
Un rapido memorandum: dopo che sia i sindacati, l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) sia le associazioni cattoliche avevano manifestato preoccupazione riguardo i requisiti stabiliti dall’amministrazione per l’assegnazione degli alloggi Erp, lo scorso maggio, il Tribunale di Ferrara si era espresso ritenendoli discriminatori e imponendo al Municipio di formulare «nuovi criteri e punteggi», e di «adottare procedure più idonee» per l’assegnazione delle suddette dimore. Nonostante l’ordinanza a sfavore, il sindaco mantenne la posizione e nel luglio 2021, nella persona del giudice Maria Marta Cristoni, il Tribunale ha rimarcato l’irregolarità, giudicando discriminatorio il regolamento del Comune sia rispetto all’impossidenza, «per la richiesta a soli cittadini extracomunitari di documentazione aggiuntiva e gravosa, sia rispetto al punteggio dedicato alla residenzialità storica, preponderante rispetto ai requisiti indicativi di uno stato di bisogno abitativo».
Non è finita: due cittadine che si trovavano in una condizione di urgente necessità, si sono viste scavalcare in graduatoria da altre in condizioni nettamente migliori, soltanto poiché residenti da più di sedici anni sul territorio comunale, valutando così di procedere con i ricorsi. Seguendo la minuziosa ricostruzione del quotidiano locale Estense.com e la perizia del suo direttore Marco Zavagli, il bando premiava in misura eccessiva e immotivata la residenzialità storica e obbligava gli stranieri senza cittadinanza italiana a dimostrare di non possedere beni nel Paese di provenienza. Si tratta di un requisito ostico da provare attraverso documenti ufficiali, specialmente non sapendo se i Paesi in questione siano in possesso di quei dati o banalmente disposti a collaborare. Documentazione preventiva che invece non è stata richiesta agli italiani, per i quali è sufficiente un’autocertificazione su cui sarebbero poi il Comune e gli enti preposti, a loro discrezione, a procedere con eventuali controlli di veridicità.
Secondo il Tribunale, «tale criterio contravviene ai principi fissati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 9/2021 che ha evidenziato il carattere discriminatorio della legge regionale dell’Abruzzo, che aveva fissato principi del tutto analoghi a quelli contenuti nella delibera e nel bando di Ferrara». Pertanto tali previsioni sono state considerate «irragionevoli e discriminatorie» e il Comune è stato «condannato a cessare la condotta discriminatoria, annullando o modificando gli atti, oltre al pagamento delle spese legali».
Per tutta risposta, il sindaco Fabbri ha replicato attaccando direttamente il giudice e pubblicando i nomi delle ricorrenti su Facebook, rischiando così di metterle alla pubblica gogna, in sfregio alla privacy e al rispetto delle fragilità altrui. Inoltre, la richiesta presentata dal Comune di sospendere l’ordinanza del tribunale ferrarese che imponeva di modificare il regolamento strenuamente dibattuto, è stata rigettata giusto una settimana fa dalla Corte d’Appello di Bologna. La Corte ha rinviato al 26 marzo 2024 la prosecuzione della causa e dunque, fino ad allora, sarà pienamente esecutiva la decisione del giudice Cristoni.
Nel marasma che si è creato in Consiglio Comunale, non è da tralasciare che l’unica componente dell’opposizione a formulare un’interrogazione a sostegno delle due ricorrenti vessate sia stata l’ex leghista Anna Ferraresi. La consigliera del Gruppo misto si è poi focalizzata sul denaro pubblico stanziato dal Comune per le spese legali relative ai vari ricorsi legati all’opposizione del sindaco Fabbri: ad ora risulterebbe un totale di 35.228,93 euro, esclusi oneri e spese accessorie, che di fatto peseranno sulle tasche dei contribuenti.
Infine, c’è da registrare un’altra situazione, paradossale: ha suscitato infatti non poche polemiche il fatto che il vice sindaco Nicola “Naomo” Lodi, che percepisce un’indennità di oltre 6mila euro al mese, continui ad abitare in un alloggio dell’Acer (l’ente che gestisce le case popolari). Sono trascorsi quasi tre anni dalla sua nomina istituzionale e per quanto migliaia di cittadini si chiedano se non si tratti di conflitto di interessi, Lodi non molla l’appartamento ottenuto in passato, sostenendo che lo farà quando scadranno i termini stabiliti dal regolamento regionale. Inutile sottolineare che per quanto la classe politica sia riflesso ed emanazione del luogo di appartenenza, non dovrebbe sperperare le risorse degli elettori.
Nella foto: Alan Fabbri con Matteo Salvini