Alla fine ci si è ridotti ad attaccarsi alla telefonata tra Usa e Russia, perché in fondo passano gli anni ma le abitudini peggiori rimangono intatte. Se da quella telefonata tra Biden e Putin ci si aspettava uno sviluppo qualsiasi, anche minimamente positivo, si può ufficializzare la delusione: gli Usa che avevano ripetuto di non voler entrare nel conflitto (fingendo di non sapere che l'Ucraina sia nel bel mezzo di un percorso di annessione alla Nato) ora minaccia «reazioni» e «una risposta decisa». Non male per rasserenare gli animi.
Da parte sua Putin fa politica internazionale come l'ha sempre fatta, incapace di esercitare pressione senza sfoderare armi e militari. E nonostante il presidente russo abbia interloquito con Macron (che ha intensificato i suoi contatti anche con Biden) tutti i segnali indicano un risultato scontato. Dagli Usa indicano anche una data: la commissione parlamentare russa che gestisce gli affari degli Stati indipendenti discuterà martedì l’ipotesi di riconoscere ufficialmente le due repubbliche ribelli di Donetsk e di Lugansk. In caso di parere positivo, l’Aula della Duma sarebbe chiamata a votare il giorno seguente, e quindi mercoledì. Mercoledì potrebbe essere il giorno, quindi.
La guerra sarebbe un grosso problema anche per l'Ucraina che subirebbe una brusca frenata nel suo percorso di avvicinamento alla Nato. Il ministro Di Maio in audizione alle Camere ha ricordato l’articolo 10 del Patto atlantico, secondo il quale l’allargamento deve «accrescere la sicurezza collettiva». Tutto vero, per carità, ma sarebbe curioso chiedere se l'allargamento della Nato a Est abbia o meno contribuito proprio a destabilizzare, piuttosto che accrescere la sicurezza. Poi si potrebbe ricordare a tutti gli sfegatati atlantisti di queste ore, perché, se «ogni Stato ha il diritto di scegliersi l'alleato che vuole» (come si sente dire in giro per difendere il governo di Kiev), poi alla fine gli stessi Usa (e la Nato) abbiano usato i jihadisti contro l’Urss negli anni Ottanta, perché gli Usa (e la Nato) siano intervenuti in Libia nel 2011 con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, perché si siano inventati una guerra in Iraq nel 2003 o, per finire, cosa ne dicono dell'ordine che hanno ristabilito in Afghanistan.
Di certo gli ucraini si sono affidati per il riarmo a Erdogan (un altro che non si capisce bene come contribuisca all'allargamento della sicurezza) e si è concesso a Putin di ammassare uomini e armi al confine in tutta tranquillità. Gli attori in scena sono tutt'altro che affidabili. Come sempre accade per le guerre tutti si occupano di trovare una giustificazione per una guerra che tutti fingono di non volere e intanto si apparecchia.
Buon lunedì.
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Alla fine ci si è ridotti ad attaccarsi alla telefonata tra Usa e Russia, perché in fondo passano gli anni ma le abitudini peggiori rimangono intatte. Se da quella telefonata tra Biden e Putin ci si aspettava uno sviluppo qualsiasi, anche minimamente positivo, si può ufficializzare la delusione: gli Usa che avevano ripetuto di non voler entrare nel conflitto (fingendo di non sapere che l’Ucraina sia nel bel mezzo di un percorso di annessione alla Nato) ora minaccia «reazioni» e «una risposta decisa». Non male per rasserenare gli animi.
Da parte sua Putin fa politica internazionale come l’ha sempre fatta, incapace di esercitare pressione senza sfoderare armi e militari. E nonostante il presidente russo abbia interloquito con Macron (che ha intensificato i suoi contatti anche con Biden) tutti i segnali indicano un risultato scontato. Dagli Usa indicano anche una data: la commissione parlamentare russa che gestisce gli affari degli Stati indipendenti discuterà martedì l’ipotesi di riconoscere ufficialmente le due repubbliche ribelli di Donetsk e di Lugansk. In caso di parere positivo, l’Aula della Duma sarebbe chiamata a votare il giorno seguente, e quindi mercoledì. Mercoledì potrebbe essere il giorno, quindi.
La guerra sarebbe un grosso problema anche per l’Ucraina che subirebbe una brusca frenata nel suo percorso di avvicinamento alla Nato. Il ministro Di Maio in audizione alle Camere ha ricordato l’articolo 10 del Patto atlantico, secondo il quale l’allargamento deve «accrescere la sicurezza collettiva». Tutto vero, per carità, ma sarebbe curioso chiedere se l’allargamento della Nato a Est abbia o meno contribuito proprio a destabilizzare, piuttosto che accrescere la sicurezza. Poi si potrebbe ricordare a tutti gli sfegatati atlantisti di queste ore, perché, se «ogni Stato ha il diritto di scegliersi l’alleato che vuole» (come si sente dire in giro per difendere il governo di Kiev), poi alla fine gli stessi Usa (e la Nato) abbiano usato i jihadisti contro l’Urss negli anni Ottanta, perché gli Usa (e la Nato) siano intervenuti in Libia nel 2011 con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, perché si siano inventati una guerra in Iraq nel 2003 o, per finire, cosa ne dicono dell’ordine che hanno ristabilito in Afghanistan.
Di certo gli ucraini si sono affidati per il riarmo a Erdogan (un altro che non si capisce bene come contribuisca all’allargamento della sicurezza) e si è concesso a Putin di ammassare uomini e armi al confine in tutta tranquillità. Gli attori in scena sono tutt’altro che affidabili. Come sempre accade per le guerre tutti si occupano di trovare una giustificazione per una guerra che tutti fingono di non volere e intanto si apparecchia.