Carlo Calenda è stato eletto segretario del partito Azione. Ha vinto lui nel partito fondato da lui, chi l’avrebbe mai detto. Ma il punto politico è un altro: ogni volta che Calenda si ritrova a proferire parola per uno spazio più largo di un tweet si ha l’occasione di misurarlo in tutta la sua scadente saccenza politica che annebbia tutto il resto. Non sarà un caso che tra lui e Renzi non scorra buon sangue nonostante riconoscano di essere della stessa pasta: proporre come soluzione politica se stessi come leader è il primo punto della loro agenda politica. Poi succede che i punti politici, quelli veri, vengano inevitabilmente sbiaditi dall’auto promozione.
I giorni di congresso di Azione verranno ricordati tra le altre cose per l’irruento ritorno dell’odio antimeridionale, qualcosa di talmente logoro che nemmeno Salvini lo percorre più: dice Calenda che «se il federalismo al Sud non ha funzionato è per colpa degli elettori del sud, che non son in grado di votare persone capaci e competenti». State sicuri che qualcuno di sicuro lo applaudirà convinto, del resto molti liberal di casa nostra non sono nient’altro che la versione edulcorata della destra populista che fingono di voler combattere. Hanno capito perfettamente che se si riuscisse a instillare un po’ di odio sociale senza apparire sgrammaticati ma addirittura competenti si potrebbe rischiare di esse considerati illuminati. Del resto è lo stesso Calenda che dice di ispirarsi al liberalsocialismo di Gobetti e Rosselli, senza avere studiato abbastanza per sapere che il programma politico di Giustizia e Libertà intendeva il liberalismo come mezzo per giungere al socialismo e prevedeva ingenti nazionalizzazioni. Esattamente l’opposto dell’idea calendiana.
Del resto è lo stesso Calenda che propone un salario minimo (e fin qui potrebbe essere una buona notizia) di 7 euro all’ora, sempre sulla linea che ebbe da ministro quando magnificò i salari da fame italiani come mezzo di attrazione degli investimenti esteri. Dice Calenda che è disposto ad allearsi con tutti basta che siano d’accordo con lui e all’appello di Calenda rispondono Giorgetti (quindi la Lega) e timidamente Letta (ponendo dei distinguo). Così il sogno di Carlo è realizzato: fare l’ago di una bilancia che non ha nemmeno le basi per tenere in piedi il piatto. Pensare a un “campo largo” con chi ha idee opposte (almeno sulla carta) è populismo peggiore di quello che Calenda dice di voler combattere. E non è un caso che il marchio doc di “Draghi” sia il fondotinta che serve per coprire un’operazione indigeribile fin dalle intenzioni.
È la solita tentazione all’ammucchiata tutta italiana, quella che puzza da un chilometro di disperato e disperante tentativo di autopreservazione e che contribuirà ancora una volta a infiammare gli estremismi e allontanare gli elettori. Il progetto politico si potrebbe sintetizzare così: una bella ammucchiata, tutti dentro esclusi Meloni e Conte. Noi che qui fuori osserviamo e non aspiriamo a essere né migliori e nemmeno competenti osserviamo che Calenda dice da sempre di non volere mai e per nessun motivo allearsi con il M5s (scelta legittima), Letta ci dice «per vincere le elezioni contro il centrodestra dobbiamo comporre una grande alleanza in cui stia il M5s» e Calenda e Letta promettono di voler vincere insieme le elezioni del 2023.
Buon lunedì.