Conte sbaglia, come si dice con linguaggio sportivo, a voler correre da solo. Per alcune ragioni evidenti, che è utile mettere in evidenza, in questo momento, per il vantaggio generale e non certo per denigrarlo. Non appartengo alla folta schiera degli ipocriti mestatori che lo hanno crocifisso per la caduta del governo Draghi. Le possibilità di un ritorno al dialogo con il Partito democratico oltre che moralmente umilianti sono politicamente inesistenti. Quel partito, un aggregato conservatore di capicordata elettorali, non farà mai un passo indietro sulla sua scelta atlantista di portare la spesa in armamenti al 2% del Pil.
Ci sono ragioni di tradizione politica e di convincimento in questa scelta, in tale pervicace fedeltà atlantica, ma anche ragioni che ci rimangono ignote. Il Pd, in tutte le sue componenti, non è mai stato sfiorato da un qualche sospetto sulle condizioni drammatiche in cui versa il pianeta, non si è mai curato dei problemi ambientali e territoriali del Paese. Perché non dovrebbe volere il termovalorizzatore a Roma, il nuovo stadio nella capitale, il rigassificatore a Piombino o dovunque sia, la discarica su una sorgiva in provincia di Reggio Calabria, e altre felici scelte ambientali? Come può pensare Conte di continuare a essere l’alleato di questo gruppo senza erodere ulteriormente le ragioni che stanno alla base del M5s?
La scelta di andare da solo e rigenerarsi con una campagna solitaria sfiora il suicidio. Le ragioni originarie che portarono alla nascita e al successo dei M5s si sono dissolte, in parte dilapidate dalle scelte di governo. Il vero e proprio sfondamento elettorale di quel movimento fu preparato per anni dagli spettacoli di Beppe Grillo, il primo leader (un comico) ad aver reso popolari in Italia i temi dell’ambientalismo. Un lavoro che ha raccolto alla fine le istanze di tanti comitati sparsi sull’intero territorio italiano ignorati dai partiti. Il movimento raccoglieva quei temi e li arricchiva con altre proposte popolari come il reddito di cittadinanza e soprattutto ha finito con l’incrinare la critica più dirompente al sistema politico italiano. Alla vecchiezza del suo personale, alla sua inamovibilità, alla sua impotenza operativa, alla sua corruzione. A dare voce, volto, carica vitale a quel movimento, davanti a Grillo e Casaleggio, c’erano giovani come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, che nella genericità della loro collocazione politica, raccoglievano efficacemente le pulsioni radicali sia di destra che di sinistra affioranti dal magma sociale messo in moto.
Dove sono oggi queste condizioni? Ed è possibile ricrearli volontaristicamente? I Cinquestelle sono ormai un’altra cosa, riplasmati da Conte, che li ha forniti di regole, e di ordinamenti più stabili e certi. Anche la sua figura, com’è evidente, non ha le caratteristiche comunicative dei due giovani leader oggi divisi. Conte è uno straordinario negoziatore, l’ha dimostrato nel modo più clamoroso nelle trattative con l’UE per i fondi del PNRR. Non ha il linguaggio del trascinatore, ma sarebbe uomo prezioso nell’arcipelago della sinistra, dove potrebbe svolgere un ruolo originale. E della sinistra, beninteso, fa parte anche Unione Popolare, che non è figlia di un dio minore. A meno che il suo radicalismo non sia temuto perché onesta intransigenza.
Quale è il senso di questo isolamento? Dopo le elezioni come si collocherà, con chi continuerà a fare politica? Le finalità, i valori ideali che possono ridare qualche ragion d’essere al movimento cinquestelle, dopo le tante delusioni inflitte al suo elettorato, stanno tutte nel campo della sinistra, a cominciare dal rifiuto alla guerra e dell’ambientalismo. Noi non abbiamo un ecologismo di destra. E nel Pd è pura fuffa. Perché Conte non dà una mano a trovare almeno un accordo tecnico per evitare che un vittoria straripante della destra sconvolga la nostra democrazia?